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Racconto di un profugo dal Tg3

Da Saxa Rubra le lettera di un giornalista Rai che racconta anni di malumore,in un tg che un tempo era un vessillo di qualità e innovazione

Racconto di un profugo dal Tg3
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2 Ottobre 2015 - 11.08


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Abbiamo ricevuto questa lettera da un giornalista Rai. La pubblichiamo volentieri. Chiunque volesse aggiungere, precisare o replicare, può farlo nello spazio commenti o inviando una mail a redazione@globalist.it.
Lettera firmata

“Manco da tempo dal Tg3 e non sapevo che le assemblee di quella storica testata fossero state spostate sulle pagine di Globalist, che ringrazio per aver offerto – recentemente – uno spazio nel quale ci si può, finalmente, confrontare. Spazio che manca nella mia ex testata da ormai ben 6 anni. Se la memoria non mi inganna, certo si svolgevano al Tg3, ogni tanto, alcune tristi riunioni ,con pochi partecipanti., peraltro guardati a vista – va detto – da pretoriani della direzione.

Polemiche e dibattito di queste ore mi spingono a scrivere. Lo faccio a Globalist, lo faccio con voi che oggi vi siete occupati di quel che accade al Tg3 e nei suoi dintorni. Spero poter ottenere un piccolo spazio.
Appartengo alla categoria dei “fuggitivi”, di coloro che “hanno scelto nuove opportunità’ professionali”, come piace dire al direttore, con un discutibile eufemismo. Una vasta categoria di persone, con storie e destini diversi. In comune – credo di non sbagliare – la rottura maturata con il Tg3. Il motivo? Deriva autocratica. Penso che siano queste le parole giuste per definire il disagio di molti. Sono convinto che tanti non parlano perché si sentono ancora feriti. Hanno preferito andare via perché hanno capito fin dall’inizio come sarebbe andata a finire. Intuito, senso storico, esperienza…Poi, ci sono quelli che sono rimasti.

Le parole vere, quelle che vengono da dentro sono quelle della collega Teresa Marchesi che nelle ore più tristi e dolorose per la perdita, ha raccontato gli ultimi anni di vita del ,Santo Della Volpe, ex capocronista, autore di numerose, importanti inchieste, e negli ultimi anni tenuto in uno stanzino, tenuto praticamente fuori dal suo giornale, che aveva amato tanto e al quale aveva tanto dato. Non voglio soffermarmi sui singoli casi, ma, una dietro l’altra, andavano via persone, professionalità, con loro dal Tg3 andavano via anche idee, esperienze, sensibilità. Molti non volevano chinare la testa, Nessuno si è mai opposto all’articolo 6 usato dal direttore a suo dire per “migliorare e costruire un giornale nuovo”, in ogni occasione anche quando non serviva. C’era, dunque, chi preferiva andare via, altri resistevano,la maggioranza taceva. Tanto “sangue, ferro e fuoco” per che cosa? Per un prodotto che non si è mai realizzato e non può’ essere difeso di fronte alla riforma in arrivo.

“Ripubblica”, come è ormai chiamato il Tg3, e fatta male, però. Linguaggio televisivo vecchio di una quindicina di anni, esteri inesistenti, pochissima cronaca e inchieste. Non tutti hanno un carattere facile, anche Mario Orfeo è famoso in azienda per la sua durezza, ma ha realizzato un prodotto che ha recuperato ascolti, con tanta cronaca, esteri, cultura, scienza e società. Il Tg3 no. E ora ,come nella favola di Andresen , ci vorrebbe un bambino che, a questo punto, gridasse: “Il re è’ nudo!”. Lo auguro di cuore al mio ex Tg. Basta non avere paura dei cognomi forti e non temere, per questo, cataclismi della Storia in arrivo.

Grazie e buon lavoro”

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