Cagliari, un'opera natalizia chiude la stagione del Lirico

Il soggetto è letterario: leggendo la novella “La notte di Natale“ tratta dal volume di racconti dal titolo “le veglie alla fattoria di Dikànka” di Nikolaj Gògol.

Cagliari, un'opera natalizia chiude la stagione del Lirico
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22 Dicembre 2014 - 11.24


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di Francesca Mulas

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Dopo Puccini e Verdi, protagonisti indiscussi del repertorio operistico italiano, da venerdì 19 dicembre va in scena al Teatro Lirico di Cagliari un compositore che non siamo abituati a pensare come autore di melodrammi: Pëtr Il’ič Čajkovskij, ai più noto soprattutto come sinfonista e creatore di balletti come “Lo schiaccianoci”. In realtà le opere di Čajkovskij, raramente rappresentate sia in Russia che nel resto del mondo, sono intimamente legate alla città di Cagliari, poiché eseguite diverse volte (come “Evgenije Onjegin” e “La dama di picche”): e in special modo “Gli Stivaletti”, l’opera in scena e che chiude la stagione Lirica 2014, ha un legame particolare con il nostro Teatro. Nel 2000, infatti, proprio qui si è svolta la prima esecuzione assoluta in Italia dell’opera; e quello stesso allestimento viene utilizzato, senza alcuna modifica, nella messa in scena di questi giorni. Durante tutti questi anni è stato ripreso pochissime volte nel resto d’Europa e anche nel Paese d’origine del compositore, la Russia: questo perché “ Gli Stivaletti” è un’opera difficilmente etichettabile, non drammatica ma neanche buffa, che resta in una dimensione onirica caratterizzata dalla brillante orchestrazione di Čajkovskij.

Il soggetto è letterario: leggendo la novella “La notte di Natale“ tratta dal volume di racconti dal titolo “le veglie alla fattoria di Dikànka” di Nikolaj Gògol, Ciaikovskij rimase colpito dal soggetto ricco di umori popolareschi e grotteschi, dalla presenza del fantastico, del soprannaturale e del leggendario, in cui i diavoli e le streghe hanno sentimenti, passioni e vizi come i comuni mortali. Non si perse d’animo quando, su libretto di Jakov Polònskij tratto appunto dalla novella, compose l’opera “Il fabbro Vakùla“ nell’estate del 1874 ed ebbe, alla prima del 1876, una delusione cocente per l’esito non proprio felice; compose quindi una nuova opera dal titolo “Cerevicki “ (Gli Stivaletti”), che ebbe il suo battesimo nel gennaio del 1887.
La trama, in quattro atti e sette quadri ambientata alla fine del XVIII secolo, racconta del fabbro Vakùla che ha dipinto una caricatura del diavolo Bess sulla porta della chiesa del villaggio di Dikànka in Ucraina; questi, per vendicarsi, d’accordo con la madre di Vakùla (la strega Solocha), ruba la luna nella notte di Natale e scatena una tempesta di neve, che impedisce a Vakùla di corteggiare Oksana, figlia del vecchio cosacco Čub. La ragazza, volubile e capricciosa, dichiara che sposerà il fabbro solo se questi le porterà in dono gli stivaletti della zarina Caterina. E Vakula, aiutato dal diavolo, riesce nell’impresa.

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Lo spettacolo di Yuri Alexandrov ,con le scene e i costumi di Vjaceslav Okunev , ha come costante la presenza in scena di fantasmagoriche uova Fabergé, ora minuscole ora enormi, ora trasparenti ora color argento od acquamarina o bordeaux, che accentuano il lato fiabesco del racconto e rimandano allo sfarzo della corte di Pietroburgo; come delle matrioske, una volta aperte, lasciano uscire notti stellate, bufere di neve, diavoli, streghe, chiese illuminate, zarine e balli popolari, tutto avvolto da un caleidoscopico gioco di luci. Una grande fiaba degli adulti , nella quale emerge anche quanto di diabolico, oscuro e misterioso c’è nella vita umana.

Questa visione, in effetti abbastanza introspettiva e problematica, emerge anche dalla direzione di Donato Renzetti, che richiede alla sua orchestra un suono possente e pieno, quasi da melodramma verista, ben diverso da altre versioni dell’opera. Il cast vocale ha avuto luci e ombre: innanzi tutto, lode al non facile compito del tenore Ivaylo Mihaylov, chiamato a sostituire a causa di un indisposizione Vsevolod Grivnov nella parte di Vakula: una prova molto gradevole, anche se a volte forse un po’ monocorde nella declinazione dei vari stati d’animo. Alex Penda, soprano, è un’ottima Okcana, sia dal punto di vista attoriale che vocale; a parte qualche tendenza all’urlo, ha reso perfettamente le intenzioni musicali del compositore, soprattutto nella lunga cavatina iniziale, dove il cambio di carattere è molto ben sottolineato anche timbricamente. Irina Makarova è stata una vistosa strega Solocha, dall’ottima estensione (tant’è che risulta perfetta anche nel registro contraltistico). Non pervenuto Kotchinian, nella parte di Čub, anch’egli giù di voce causa influenza.

Non si può non citare il Coro: preparato, attento, ma che inevitabilmente risente del fatto di essere perennemente sotto organico e non poter così, pur volendolo disperatamente, ottemperare al meglio al suo compito. Un ultimo appunto: l’opera è lunga, è vero, ma è stato davvero un peccato tagliare parte dei balletti (mi riferisc o in particolar modo a quello dell Ondine, nel Terzo Atto) momenti nei quali Ciaikovskij dà forse la miglior prova di sé.

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