Si intitola ‘Nine days in Cairo. Torture and murder of Giulio Regeni”, il documentario realizzato dai giornalisti di Repubblica Carlo Bonini e Giuliano Foschini, prodotto insieme a 42’ Parallelo, che verrà presentato oggi al festival internazionale di giornalismo di Perugia, è un atto d’accusa nei confronti delle autorità egiziane lungo 52 minuti. Ma anche un omaggio al coraggio e all’umanità di Paola e Claudio Regeni, i genitori di Giulio che da quel 25 gennaio del 2016 non hanno mai smesso di cercare la verità. Perché, come dice la stessa Paola, “se penso al viso di Giulio in obitorio, se penso ai depistaggi e a tutto quello che c’è stato dopo, è come se la violenza subita da Giulio continuasse a perpetuarsi. C’è ancora violenza su Giulio, non è ancora finita”.
Il film è un’attenta ricostruzione dei nove giorni che hanno segnato per sempre la vita di Giulio, dal 25 gennaio, giorno in cui il ricercatore scompare nella metropolitana – “l’ultima azione da uomo libero”, si dice nel documentario, la compie alla 19.25 cercando su Youtube una canzone dei Coldplay – al 3 febbraio, quando il suo corpo martoriato viene abbandonato in un fosso lungo l’autostrada Cairo-Alessandria. Una ricostruzione attraverso gli atti d’indagine a disposizione delle autorità italiane e le testimonianze dell’allora ambasciatore al Cairo Maurizio Massari, del medico legale che ha eseguito l’autopsia sul corpo di Giulio, Maurizio Fineschi, del dirigente del Servizio centrale operativo della Polizia Vincenzo Nicolì.
Ma è, soprattutto, un atto d’accusa verso le autorità egiziane, in particolare la National Security, il servizio segreto interno che, stando alle indagini italiane, è dietro al sequestro e all’omicidio di Giulio. Non è un caso dunque che nell’ultima rogatoria inviata in Egitto, il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Sergio Colaiocco abbiano chiesto di identificare e interrogare una decina di persone appartenenti proprio ai servizi segreti. Nel documentario c’è anche il verbale d’interrogatorio di Mohammed Abdallah, il capo del sindacato degli ambulanti con cui Giulio era in contatto, l’uomo che ha venduto il ricercatore ai servizi di sicurezza. Abdallah ha raccontato, tra l’altro, che telefonò a Regeni proprio dagli uffici della National Security. “L’ho chiamato in vivavoce in presenza di una persona per confermare l’appuntamento…ho capito che loro volevano tenere sotto controllo Giulio”. C’è anche l’audio di una telefonata in cui Abdallah, subito dopo aver filmato il suo incontro con Giulio, chiama i suoi referenti per chiedere aiuto e non perdere la registrazione. “Il ragazzo è appena partito”, dice. “La prima volta che siamo andati al Cairo con Giulio – racconta il padre Claudio – eravamo curiosi, vedevamo le cose belle, le piramidi, il Nilo, i mercati, la cultura, il dinamismo. Quando siamo andati dopo la sua scomparsa era come se tutto questo fosse dietro ad un velo”. Il docufilm sarà trasmesso nei prossimi giorni in televisione e anche da Al Jazeera, sia sul canale in inglese sia su quello arabo.