Francesca Fradelloni
“A differenza di altri comici del tempo, Cochi e Renato non erano degli adulti, ma neanche proprio dei fratelli maggiori. Perché non era adulta il loro tipo di comicità. Vestivano più o meno come noi che andavamo al liceo. Studentelli. In fondo io avevo quindici anni, ma già mi sentivo pronto per chissà quali avventure. Cresciuto a spaghetti western e Libretto Rosso di Mao, uscivo di casa e vedevo i film meravigliosi del tempo, da Barbarella a 2001: Odissea nello spazio. Anni dopo riuscii anche a vedere il Satyricon di Federico Fellini. Era un mondo che stava completamente cambiando sotto i nostri occhi, eravamo noi che lo stavamo cambiando”, ricorda Marco Giusti nel libro appena uscito “Cochi e Renato. La biografia intelligente” di Andrea Ciaffaroni e Sandro Paté, edito da Sagoma Editore (pp. 400, € 22,00). Una delle tante testimonianze di una delle coppie comiche più longeve d’Italia. Ciaffaroni, Carlo Amatetti di Sagoma e David Riondino presentano il volume alla fiera della piccola e media editoria “Più Libri Più Liberi” alla “Nuvola” all’Eur di Roma domenica 8 dicembre alle 18.30.
Dalle osterie al sodalizio con Jannacci e Fo
La loro storia è una storia del tempo, un frammento di storia di Italia. Aurelio “Cochi” Ponzoni e Renato Pozzetto sono due amici che giocano insieme a Gemonio, lago Maggiore, mentre Milano è sotto i bombardamenti. Sono due ragazzi come tanti con chitarrine in osterie. Poi E la vita l’è bela e piena di sorprese, come recita una delle loro canzoni più famose, e nel 1964 nasce il sodalizio con Enzo Jannacci e Dario Fo. Si trasferiscono al Derby, debuttano in televisione. Memorabili il loro “passo” a due e le “Canzoni intelligenti”. Così illogiche a prima vista, che solo i più piccoli ne riescono a cogliere subito il senso profondo. Filastrocche e canzoncine, monologhi e siparietti nuovissimi per il tempo, caratterizzati da una comicità assurda e dal nonsense.
Grazie al loro stile, incontrano, oltre a Fo e Jannacci, Giorgio Gaber, Marcello Marchesi, Maurizio Costanzo, Paolo Villaggio, Enrico Vaime, entrano al tempio della comicità, nel mondo della TV e in quello del cinema. E la vita? La vita l’è bela davvero perché dopo vent’anni di separazione si ritrovano, si guardano e si dicono: “Forse siamo ancora in tempo a salvare il mondo dalla serietà”.
Ecco, allora, la biografia di Cochi e Renato, la più grande storia di cabaret mai raccontata, zeppa di incredibili foto inedite e ricostruita a partire da oltre cinquanta interviste a colleghi, amici e semplici conoscenti.
“Tutti li guardavano in tv e ripetevano le loro battute”
“A Renato invidio (come tutti) avere avuto Edwige Fenech come morosa”, ricorda Maurizio Milani. “Cochi e Renato appena li ho visti mi sono spaventato. Era una puntata de Il poeta e il contadino. Non ho dormito tutta la notte. Anche alla mattina a scuola tutti gli alunni erano sconvolti. Tutti vedevano la trasmissione in tv. Tanti ripetevano fissi le battute sentite la sera prima. Anche bidelli e insegnanti. Non si era mai vista una cosa del genere. Sul pullman in gita a Ravenna sia noi che l’autista stavamo a rifare le gag di Cochi e Renato”.
Un cabaret che non voleva logica
Il cabaret di Cochi e Renato è fatto da un linguaggio senza logica e senza tempo, sono cabarettisti che trascinano il pubblico nella loro follia creativa. Più bravi di tutti a fingere di non fingere. “Per noi studentelli che li guardavamo rapiti, ripeto, fuor di ogni logica di cabaret o di filiazione artistica o di educazione milanese, erano il nostro specchio, ironico, assurdo. Lo specchio di una gioventù che si preparava a qualche salto mortale e rivoluzionario nel tinello di casa o in cucina, guardando la televisione. Bum! Più borghesuccio e perbenino Cochi, più strampalato e popolare Renato. Ma erano quello che noi eravamo in quel preciso momento”, ripete Giusti.
Milano con Buzzati e Piero Manzoni
È la storia di una Milano d’annata. Le osterie dove si incontravano di notte sono state una grande enciclopedia umana. Il Bar Gattullo un grande laboratorio gastronomico-teatrale. Si trovavano tutti lì all’epoca e Renato ha dichiarato recentemente che il maggiore orgoglio è stato quello di essere rimasto “quello del bar”. E poi Brera, l’Accademia. Lì avevano conosciuto Piero Manzoni, Lucio Fontana, Dino Buzzati e altri artisti che sono stati il loro primo pubblico. “Li abbiamo frequentati – ricorda Renato nel libro – e vedevamo ciò che facevano in totale libertà. Non posso scordare le linee di Manzoni. Lì venivamo totalmente appagati. Con le nostre canzoni, gli stornelli e i primi sketch si divertivano tantissimo. In quei luoghi nascevano anche le prime canzoni perché si potevano provare e mettere a punto serata dopo serata”.
L’atmosfera e la cultura del Naviglio
Il quartiere di Milano dove nasce Cochi è la zona 6, via Foppa. Vicino al Naviglio Grande, oggi in piena gentrification. Un’area che comprende Porta Genova, allora detta “porto di Milano”, il Giambellino, quartiere da epopea grazie a La ballata del Cerutti di Giorgio Gaber, i bastioni spagnoli, il vicolo dei Lavandai. Era anche una zona industriale, quella a ovest della città, tra le più sviluppate ma anche con tanti spazi verdi fino a Corsico, Cesano Boscone, Buccinasco, Assago.
In questa zona, negli anni Cinquanta vengono costruite le cosiddette “case minime” per raccogliere gli sfollati della Seconda Guerra Mondiale. Non lontano da via Foppa, nei prati lì attorno, per tutti gli anni Cinquanta capita di vedere pastori sardi con qualche asinello e i cani fare la transumanza di tantissime pecore. A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta cominciano a sorgere quelle industrie che hanno creato il mito della Milano industriale: l’Osram di via Savona, la Richard Ginori di via Ludovico il Moro, gli stabilimenti Ansaldo e Ferro China Bisleri, la Riva Calzoni nel quartiere Solari, l’Istituto Sieroterapico Milanese Serafino Belfanti di via Darwin e altri. In mezzo alla zona 6 il Naviglio Grande ha portato in centro città i marmi del Duomo, ma anche la sabbia per costruire le case dei milanesi.
Il luogo della poesia e di Alda Merini
L’atmosfera del Naviglio Grande è davvero differente dal resto della metropoli. Un mix di arte, solidarietà e accoglienza. Qui convivono da secoli passato e futuro. Ci sono case di ringhiera con il bagno staccato dagli appartamenti, ma anche locande per gli artisti che in casi limite accettano in pagamento bottoni a rinforzo delle monete trovate in saccoccia. Alcuni negozi vendono il sapone per fare il bucato o piccole rane verdi da mangiare. L’artigiano della zona batte il ferro, realizza mobili intarsiati oppure cuoce manufatti alla Fornace Curti. Qui negli anni Cinquanta e Sessanta si lavorano legni costosi come il palissandro e il frassino, si intreccia la paglia, si realizzano vestiti o uncinetti. Il Naviglio Grande è un gioiello che brilla come i brillin, le pietre su cui le lavandaie strofinano i panni insaponati e risciacquati dalla corrente. Il Naviglio Grande è il luogo della poesia. Qui si stabilisce Alda Merini, classe ’21, candidata al Nobel nel 1996. Sembra che i pittori abbiano scelto vie come Alzaia Naviglio Grande e Ripa di Porta Ticinese per i propri studi. Di case non troppo alte, di balconi fioriti, di ponti ce ne sono tanti, in pietra e in ferro, e per ognuno c’è una storia da raccontare.
Renato, dal quartiere di contadini
Il quartiere di Cochi è il luogo dei poeti. Quella di Renato è zona di contadini. Zona 5. Vaste aree coltivate a ortaggi, grano e riso, alto numero di cascine e di borghi che hanno conservato un’aria estremamente suggestiva. Renato Pozzetto passa gli anni dell’infanzia e quelli dell’adolescenza nei pressi di piazza Corvetto prima e in una via vicino a piazza Agrippa, poi. Solo negli anni Cinquanta si cominciano a vedere i primi complessi edilizi nell’area. Fino ad allora gli agglomerati urbani erano immersi in una natura incontaminata. Mentre Renato è ancora bambino, in tutta la zona Sud di Milano si possono trovare cartelli che mettono in guardia dalle bombe inesplose. Alcune cascine cominciano a essere abbandonate o a trasformarsi in locande e durante tutti gli anni Sessanta nuovi complessi edilizi cominciano a sostituire i piccoli centri agricoli. Così questi luoghi cominciano a diventare punti di riferimento e di aggregazione sociale, evolvendosi in osterie e bettole.
La storia di Cochi e Renato è la storia di un mondo, di una città, di uno spirito “dentro” fortemente rivoluzionario e votato al cambiamento, non è la storia di due cabarettisti e basta, è la storia di un linguaggio che ha molto con la poesia, che è molto moderno. Di menti all’avanguardia, come Milano.