Non si può negare l’incredibile successo riscosso dalla serie televisiva ‘Romanzo Criminale’. Né, tantomeno, quello dell’omonima trasposizione cinematografica.
Ora, la Roma cruda che tanto ha attratto il pubblico, torna con ‘Suburra’, la nuova serie tv che apparirà dal 6 ottobre su Netflix: una produzione tutta italiana, originale, che finalmente approda sul catalogo di filmati più noto al mondo.
Torna quindi un racconto della nostra capitale a tinte fosche, dove il traffico di droga si spreca, cravattai e bande di zingari spuntano da ogni angolo e ogni personaggio nasconde un lato oscuro e innumerevoli vizi dalle tinte sallustiane. A chiudere la serie, i versi del rapper Piotta. E’ la Roma della Suburra, cambiano i secoli ma sempre dalle parti della dissoluzione siamo.
A Venezia 74 ha avuto l’onore della premiere mondiale per ribadire il concetto che cinema e serie tv non hanno più confini né gradi di separazione. Lo spunto è l’omonimo film di Stefano Sollima (attualmente alla conquista dell’America con Soldado, il sequel di Sicario con Josh Brolin e Benicio Del Toro) e il romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, ma ambientato in anni precedenti: 10 puntate prodotte da Cattleya con la partecipazione di Rai Fiction (in onda su Rai2 con qualche opportuno taglio nelle scene più forti tra 15 mesi).
Diretta da Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, è un crime thriller violento ambientato a Roma, in cui Stato, Chiesa, famiglie sembrano non avere più i limiti di legalità, ma ciascuna azione e reazione feroce hanno a che fare con la ricerca del potere. Ecco così una strana, sanguinosa alleanza tra tre giovani: Numero 8 di Ostia (Alessandro Borghi), Spadino lo zingaro (Giacomo Ferrara), l’universitario di Roma nord Lele affascinato dai soldi (Eduardo Valdarnini) per mettere a ferro e fuoco la città. Nel cast tanti personaggi, come Sara Monaschi (Claudia Gerini) donna in Vaticano, Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro) che lascerà gli ideali della politica per abbracciare il nuovo mondo di mezzo, Samurai (Francesco Acquaroli) trafficone di alto livello e Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi) boss rom. La partenza con l’orgia di prostitute e droghe in onore del monsignore che vuole distrarsi è fulminante.
Dice Barbara Petronio, che con Daniele Cesarano firma editorialmente la serie: “Ci siamo sentiti liberi di raccontare i personaggi, divertendoci a costruirli, a plasmarli da perfetti romani con la fame millenaria di conquista che ha chi nasce a Roma”. Una libertà che ha significato “leggere, studiare, immagazzinare la cronaca di questa città per poi lasciarla raccontare su un piano di finzione da questi tre ragazzi”. Roma è sullo sfondo, si impone da protagonista, è un contesto unico, sottolinea la Gerini, “orgogliosa di far parte di questo drama action irriverente ironico”.
E’ così Roma? “Gli elementi di realismo ci sono, ma è una città raccontata, come ogni storia vera che diventa racconto si trasforma in metafora, diventa interpretazione, dunque fiction” dice lo scrittore ex magistrato De Cataldo. Lo streaming globale specifico di Netflix richiede in cambio, sottolinea il produttore Cattleya Riccardo Tozzi, “cose forti, potenti dal punto di vista narrativo e però autentiche. Il linguaggio della nuova serialità vista contemporaneamente in tutto il mondo impone di essere locali e universali, fortemente radicati, aderenti al contesto che racconti e però comprensibili”. E se da Netflix poteva arrivare la richiesta di una Roma a tinte forti per conquistare il pubblico mondiale (Gina Gardini è artistic producer e non ha mollato un attimo la supervisione), sta alla sceneggiatura, alla messa in scena e al cast non sbandare negli stereotipi. Racconta Placido che dopo essere rimasto spiazzato per “l’invadenza” della Gardini, ora si è convinto che i registi “devono essere meno autori e avere la partecipazione ai progetti di grandi produttori” come accade nelle serie tv. “Siamo in una rivoluzione e sono contento di esserci in mezzo”, dice. La seconda stagione, per quanto non annunciata ufficialmente, è altamente probabile.