Caro Massimo Fini, non cerchi scuse. Parola di giornalista cieco

Maurizio Molinari risponde all’editorialista, che ha annunciato di porre fine alla sua carriera perché cieco: così legittima quelli che non vogliono farci lavorare.

Caro Massimo Fini, non cerchi scuse. Parola di giornalista cieco
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11 Marzo 2015 - 15.16


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“Sono diventato cieco, la mia storia di scrittore e giornalista finisce qui”. Con queste parole, scritte sulla sua pagina Facebook e riportate dal Fatto Quotidiano, Massimo Fini, storica penna del giornalismo italiano, intellettuale dalle opinioni spesso considerate anticonformiste e poco ortodosse, si è congedato dai suoi lettori lo scorso 8 marzo. Fini spiega: “Sono diventato cieco. O, per essere più precisi, semicieco o ‘ipovedente’ per usare il linguaggio da collitorti dei medici. In sostanza non posso più leggere e quindi nemmeno scrivere. Per uno scrittore una fine, se si vuole, oltre che emblematica, a suo modo romantica, ma che mi sarei volentieri risparmiato”.

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Ma chi l’ha detto che una persona non vedente o ipovedente non può leggere o scrivere? Chi l’ha detto che non può fare il giornalista? Io, che da anni scrivo per questa agenzia, leggendo l’articolo del Fatto Quotidiano, sono rimasto davvero sconcertato e, di getto, ho inviato a Massimo Fini questo messaggio:

“Salve, mi chiamo Maurizio Molinari, solo omonimo del collega della Stampa. Sono cieco praticamente dalla nascita eppure faccio il giornalista per la BBC, per varie altre radio europee e per l’agenzia Redattore sociale. Sono sempre stato un lettore forte e onnivoro e ho avuto in passato velleità di scrittore che non ho portato avanti probabilmente per mancanza di metodicità e non certo perché non vedo. Tutto questo per dirle che non capisco proprio perché, con la perdita della vista, dovrebbe smettere di scrivere o di fare il giornalista. Semmai dovrebbe dare l’esempio per far vedere che si può essere un bravo giornalista pur essendo o essendo diventato non vedente. Non so se il suo volersi auto-prepensionare sia dato dall’ignoranza (cioè dal fatto che non sa che anche un non vedente al giorno d’oggi può tranquillamente leggere e scrivere in autonomia, nonché esercitare la professione in maniera eccellente) o dal comprensibile scoramento che segue un evento come la perdita della vista. So che però, per un giornalista non vedente come me, sapere che uno come lei fa passare il messaggio che perché sta diventando cieco deve smettere di scrivere è assolutamente deleterio perché dà, a chi non conosce quello che un non vedente può fare, una percezione sbagliata dei falsi limiti che questa disabilità comporta… In pratica lei, col suo ragionamento, legittima tutti quelli che, in questi anni, si sono rifiutati di darmi una possibilità di lavorare fermandosi solo al fatto che io fossi non vedente. Ma le assicuro che ce ne sono altrettanti che quella possibilità me l’hanno data e non se ne sono pentiti. Quindi, in conclusione, affari suoi se vuole smettere di scrivere o di fare il giornalista, ma non lo giustifichi col fatto che sta diventando cieco”.

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Quello che mi preme qui dire a Fini è, in sintesi, che capisco assolutamente come ci si possa sentire perduti nel perdere la vista, e passatemi il gioco di parole. Ci si sente probabilmente ancor più perduti a settantadue anni, l’età di Fini. Però, se un giornalista come lui decide di smettere che sia una sua libera scelta (prima o poi è anche tempo che si faccia largo ai giovani), ma non si nasconda dietro il sopravvenire dell’handicap. Oggi lo sanno tutti o quasi tutti, i non vedenti possono utilizzare i computer, gli smartphone, persino i dispositivi dotati di touchscreen, possono fruire di una quantità di libri fino a solo dieci anni fa impossibile da immaginare, possono leggere i giornali, comprare online qualsiasi tipo di pubblicazione nel momento stesso in cui la compra un vedente, attingere informazioni da internet… Insomma mi può spiegare Fini la ragione per cui dovrebbe smettere di scrivere o fare il giornalista solo perché ha perso o sta perdendo la vista?

Se il signor Fini vuole, mi offro addirittura volontario per fargli un corso accelerato di uso del personal computer con uno screenreader, posso insegnargli come acquistare libri online, come navigare in rete, addirittura se vuole posso metterlo in contatto con qualcuno per imparare a muoversi con un bastone bianco… Si accorgerà che chi non vede non solo può scrivere e fare il giornalista, ma anche viaggiare in tutto il mondo. Insomma perché vivere la disabilità visiva come qualcosa di più invalidante di quello che in realtà è? Chiudo rivolgendomi direttamente a Fini: “Senta, se davvero vuole continuare a fare il giornalista non trovi scuse, deve sapere che si può fare anche da cieco o ipovedente. Per parafrasare Obama, yes you can”. (Maurizio Molinari)

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