Il regista di Gomorra e Romanzo Criminale sta per tornare sul set con il suo nuovo film per il cinema Suburra dopo l’esordio con ACAB.
Nel frattempo sta preparando il seguito della serie televisiva ispirata dal bestseller di Roberto Saviano, prodotta da Cattleya e andata in onda su Sky già venduta in tutti i paesi del mondo e che questa settimana rappresenterà l’Italia al Festival di Monaco. Un prodotto televisivo di altissima qualità che al di là del successo segna l’inizio di una rivoluzione annunciata e attesa troppo a lungo dal pubblico italiano e la risposta della nostra industria a serie innovative come Breaking Bad, True Detective, House of Cards e Orange is the new black, solo per citarne alcune. Un’innovazione e una rivoluzione che non sorprende il suo ideatore e ispiratore, il regista Stefano Sollima “E’ solo un ulteriore passo in avanti. Personalmente ci avevo già provato con Romanzo Criminale 1 e 2, e adesso con Gomorra abbiamo lavorato in direzione di qualcosa di ancora più innovativo rispetto al passato, ma la strada è ancora lunga. La mia sfida era quella di prendere il discorso iniziato con Romanzo ed elevarlo ulteriormente a livello qualitativo, confidando ancora di più nella consapevolezza e nella matuità del pubblico cui era rivolto.”
Ovvero?
Romanzo Criminale era, per certi versi, più ‘facile’: era ambientato negli Anni Settanta ed era visto tramite lo sguardo dei ragazzini che avevano il sogno di ‘prendersi Roma’. Nel caso di Gomorra, invece, affrontavamo un nervo scoperto della nostra società e le cose che raccontiamo sono molto più attuali e problematiche. Sky e i produttori sono stati molto bravi a volere credere in un racconto “totale” e molto secco in cui non ci sono personaggi positivi che possano offrire il loro punto di vista morale sulla storia. Normalmente, in Italia, in televisione si tende più ad immaginare una serie come ad una forma di intrattenimento che ad una “provocazione”. Noi, invece, volevamo fare un prodotto che chiedesse attenzione e partecipazione da parte del pubblico. A partire dalla lingua: Sky ha accettato che girassimo in dialetto…noi abbiamo puntato a dare fiducia allo spettatore che ci ha ampiamente ripagato con il suo entusiasmo.
Personalmente, però, non credo a chi dice nemmeno che ‘il miglior cinema è in televisione’. Se le differenze artistiche non ci sono più quelle ‘tecniche’, invece, restano. Sono due media differenti, ma l’impatto visivo, l’accuratezza della messinscena, la precisione della recitazione sono ormai gli stessi.
Gomorra ha rivelato anche il talento di un gruppo di attori molto interessanti: a partire da Marco D’Amore…
Il casting di Gomorra è durato un anno e due mesi in cui la produzione ha pagato un intero reparto e me per incontrare centinaia di attori e di persone. E’ chiaro che si tratta di un investimento che non tutti hanno la possibilità di fare, ma che quando lo fai porta a risultati importanti. Abbiamo avuto pazienza e voglia di dare spazio a questi attori che molto spesso non vengono utilizzati e cui non viene mai data una vera prima possibilità. E’ uno spreco, cui mi piace rimediare mettendo in mostra il valore dei nostri interpreti.
La scrittura è al centro del racconto e un’ottima regia sa evidenziare questa qualità. I virtuosismi tecnici impallidiscono dinanzi all’importanza di un copione ben scritto. Tutto parte dalla sceneggiatura. Il lavoro di un regista è amalgamare tanti elementi, ma i due pilastri sono il testo e gli attori che lo interpretano. L’attenzione del regista deve essere fondata sul racconto.
E adesso?Sto terminando il cast di Suburra per partire con le riprese tra fine agosto e fine settembre. Poi, lavorerò a Gomorra stagione 2. Il film è ispirato al racconto di Carlo Bonini e di Giancarlo De Cataldo: è un affresco della Roma di oggi nell’ambito criminale. E’ la storia di un’epoca in cui la caduta di un governo e le dimissioni del Papa segnano i sette giorni in cui si può e si deve inserire una piccola legge in un mega decreto allo scopo di dare vita ad una grande speculazione edilizia. E’ un film corale in cui si parla della politica e della criminalità, un ritratto fedele della Roma di oggi.
Qual è il suo rapporto con la realtà?La rappresentazione documentaristica della realtà è soggetta all’invecchiamento molto più della finzione. Provare a cogliere lo spirito di un’epoca non vuol dire raccontarlo così come è, ma filtrarlo attraverso la narrazione e personaggi che ti raccontano anche altro. Il cinema che ho sempre amato è quello attento al mondo dove si svolgono le storie che racconta senza paura di utilizzare il genere. L’esperimento di Gomorra era quello di una messinscena spettacolare con grandi scene d’azione, però, inserite in un contesto realistico. Noi vogliamo sia intrattenere il pubblico, sia anche di riuscire a fare riflettere cercando un equilibrio tra i due elementi.
Come spettatore qual è la serie che ha amato di più tra le ultime che ha visto?True Detective: una serie strepitosa che rimette in campo alcuni archetipi del cinema indipendente anni Settanta americano, laddove al cinema, oggi, non sarebbe possibile. E’ una serie che dà una possibilità espressiva che Hollywood non dà ai prodotti destinati alle sale. Una narrazione fortissima molto classica dove dai molto spazio alla scrittura, alla drammaturgia che alla recitazione di due mostri come Matthew McCounaghey e Woody Harrelson.
Farebbe qualcosa del genere anche in Italia, rompendo gli schemi di una produzione italiana, che, forse, spesso guarda troppo al passato?Il motivo per cui Gomorra è stato venduto in tutto il mondo, Stati Uniti compresi, è che – a nostro modo – l’abbiamo già fatto ovvero abbiamo rispettato gli standard di produzione internazionale con una serie di intrattenimento visivo che conserva una forte specificità culturale. Questo mix ha contribuito moltissimo al successo: un film di genere che porta a scoprire un mondo nuovo.
Ripeto. E’ solo un piccolo passo in avanti. Credo che con Gomorra 2, finalmente, potremo iniziare a fare davvero sul serio: dobbiamo pensare ancora più in grande.
No, una “rivoluzione obbligata”. Noi dobbiamo cercare di continuare ad intrattenere il pubblico e a sorprenderlo. In un’era in cui il contenuto guida il mercato non esisteranno più generazioni sedute sul divano in attesa di quello che offre il palinsesto, ma lo spettatore sarà arrivo nella ricerca di quello che vogliono vedere. Dobbiamo puntare ad avere dei prodotti di grande appeal per il pubblico , quindi, per forza, dobbiamo cambiare. I nostri figli che oggi hanno sei – otto anni non guardano ‘la televisione’, ma cercano il contenuto dove si trova: in Tv, su Internet, etc…voi credete che quando saranno maggiorenni si siederanno sul divano alle 20.30 in attesa della Fiction o del film dopo il telegiornale? In dieci anni, un tempo brevissimo per un’industria, tutto sarà cambiato e a noi non resta che prepararci. La vera sfida è quella di superare il ritardo nella produzione dei contenuti: poco importa se questi saranno visti su Sky on Demand, Netflix o iTunes Store. Dobbiamo creare contenuti nuovi e possibilmente al livello di quelli del resto del mondo.