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Dai laboratori di Harvard una nuova via per la rigenerazione dei tessuti

Un team dell’università americana ha compreso i meccanismi rigenerativi degli axolotl e come preparano tutto il corpo a far ricrescere gli arti perduti. La chiave? Segnali nervosi che attivano cellule dormienti ovunque, non solo nella ferita, e i farmaci per sfruttarlo esistono già.

Dai laboratori di Harvard una nuova via per la rigenerazione dei tessuti
In foto: la salamandra pedomorfica Ambystoma mexicanum, comunemente conosciuta come Axolotl.
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29 Ottobre 2025 - 16.29 Culture


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di Lorenzo Lazzeri

Chiudete gli occhi e immaginate che il vostro medico vi consegni la pillola blu, quella che riparerà i danni del vostro diabete, che vi rigenererà i reni danneggiati, o vi aiuti a recuperare da un brutto infarto ricostruendo il muscolo cardiaco. Ci siamo sempre più vicini, proprio come accadeva al Dr. Leonard McCoy in Rotta verso la Terra, che consegnava una pillola ad una signora in dialisi per vederla, poco dopo, con reni perfettamente funzionanti.

Nel laboratorio di Jessica Whited (Professoressa Associata nel Dipartimento di Biologia delle Cellule Staminali e Rigenerativa) a Harvard, gli axolotl, salamandra pedomorfica originaria di Città del Messico oggetto dello studio, nuotano placidi nei loro acquari. Sembrano draghi colorati in miniatura con le loro piccole branchie piumate, ma nascondono un “superpotere” che i ricercatori inseguono da anni: perdono una zampa e in poche settimane la ricrescono perfetta. Ossa, muscoli, nervi, tutto al loro posto, come nuova .

La domanda è sempre stata una: cosa succede dove l’arto viene tagliato? Duygu Payzin-Dogru (Assegnista di ricerca presso il laboratorio Whited del Dipartimento di Biologia delle Cellule Staminali e Rigenerativa) e i suoi colleghi, per dare una risposta hanno guardato altrove, lontano dalla ferita e hanno scoperto qualcosa di inaspettato che accade in quell’organismo.

Quando una salamandra perde una zampa, tutto il suo corpo si sveglia. Cellule che erano dormienti da mesi cominciano a dividersi, nel fegato, nei muscoli e in ogni altra parte del corpo. Un’attivazione globale che prepara l’animale a rigenerarsi più velocemente se dovesse perdere un altro arto. Una cosa che natura accade spesso dato che le salamandre hanno comportamenti cannibalistici e si mordono tra loro e, da buoni predatori, lasciano il segno.

Il meccanismo che coordina questa risposta passa attraverso i nervi simpatici, quelli dello stress e della reazione immediata e quando la salamandra viene ferita, questi nervi rilasciano norepinefrina che raggiunge tessuti lontani. Le cellule che hanno il recettore giusto, chiamato α2A, captano il segnale e cominciano a prepararsi. Aprono parti del loro DNA che normalmente tengono chiuse e nel momento che arriva un secondo danno, quelle cellule sono già pronte e la rigenerazione inizia più rapidamente.

La cosa ancora più interessante è che alcuni dei farmaci che potrebbero accelerare la guarigione esistono già. Alcuni sono la rapamicina, la yohimbina, e sempre questi c’è la clonidina, un medicinale per la pressione alta, che attiva esattamente quel recettore α2A.

Somministrata alle salamandre, accelera la crescita del nuovo arto. Il propranololo, usato per l’ansia, blocca un altro recettore e rallenta il processo. Sono molecole che usiamo da decenni sull’uomo, ma sino ad oggi nessuno aveva mai pensato di testarle per la rigenerazione cellulare, credendo che i mammiferi non ne fossero capaci.

Lo studio, invece, dimostra che i pezzi del puzzle necessari ci sono anche in noi, nervi simpatici, recettori adrenergici, la via mTOR che controlla crescita cellulare, l’unica cosa è che in noi mammiferi, semplicemente, qualcosa li tiene spenti.

L’ipotesi più accreditata è che l’evoluzione abbia fatto una scelta. Rigenerare costa energia e rischia di far impazzire le cellule perché ogni divisione è un’occasione per mutazioni, che possono trasformarsi in tumori. Le salamandre vivono pochi anni, hanno un metabolismo lento, tollerano meglio questi rischi, mentre i mammiferi vivono decenni, hanno corpi grandi e caldi dove le cellule si dividono in continuazione.

Permettere la rigenerazione illimitata, sempre secondo lo studio, avrebbe probabilmente portato ad epidemie di cancro. Meglio chiudere la ferita velocemente con una cicatrice, investire risorse in un sistema immunitario potente, in un cervello complesso e in gravidanze lunghe. La natura ha barattato la capacità di far ricrescere un arto con la possibilità di vivere ottant’anni con scarsa possibilità di sviluppare tumori giovanili.

Ma come confermano i ricercatori il futuro non è poi così lontano. Le prime applicazioni sono già immaginabili. Gel con agonisti α2A applicati su ferite che non guariscono, come le ulcere dei diabetici o protocolli per preparare cellule staminali in laboratorio stimolandole con segnali adrenergici prima di trapiantarle. Trial clinici su pazienti politraumatizzati, per capire se attivare farmacologicamente quella risposta sistemica migliora il recupero complessivo. 

Entro dieci anni potremmo forse vedere rigenerazione parziale di tessuti complessi, delle dita, di frammenti di muscolo o dei nervi periferici. Non arti interi, ma certamente dei progressi importanti per chi oggi vive con disabilità permanenti. 

Occorre dire però che tutto questo accadrà con molta cautela, perché i rischi sono molteplici, non sono solo i tumori. Lo studio ha chiaramente evidenziato che rigenerazioni ripetute negli axolotl portano a declino, a una stanchezza del sistema, un esaurimento delle risorse biologiche. Attivare troppo spesso queste vie potrebbe consumare completamente le riserve di cellule staminali, accelerando invecchiamento del paziente ed aprire la porta a proliferazioni anomale.

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