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Ibride Plug-in: non sempre sono green come dichiarato

I dati ufficiali dell'Agenzia europea dell'ambiente mostrano emissioni reali fino a cinque volte superiori ai valori dichiarati. Il caso delle flotte aziendali che inquinano più delle auto tradizionali.

Ibride Plug-in: non sempre sono green come dichiarato
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18 Ottobre 2025 - 16.52 Culture


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di Lorenzo Lazzeri

Su oltre 127.000 veicoli ibridi plug-in immatricolati nel 2023 le emissioni reali di CO₂ sono risultate 4,9 volte superiori ai valori dichiarati in fase di omologazione. I dati raccolti dall’Agenzia europea dell’ambiente attraverso i contatori di bordo (OBFCM), dispositivi che registrano i consumi effettivi sulle auto ibride, mostrano emissioni medie di 135 gCO₂/km contro i 37-39 dichiarati. Appena meglio del 19% rispetto alle auto termiche tradizionali (166 gCO₂/km).

Il problema emerge dall’analisi del Fraunhofer Institute e dell’ICCT su 9.000 veicoli europei: le auto private consumano 4,0-4,4 litri per 100 km, tre volte il valore WLTP (il protocollo che ne misura i consumi) di 1,6-1,7 litri. Le flotte aziendali arrivano addirittura a 7,6-8,4 litri, cinque volte tanto. Queste ultime emettono 175-195 g di CO₂/km, peggio delle auto convenzionali. La causa è una: la mancata ricarica. Le procedure di omologazione assumono un utilizzo elettrico dell’84% del tempo, i dati reali mostrano il 27%.

Transport & Environment calcola che tra 2021 e 2023 i costruttori abbiano emesso 52 milioni di tonnellate di CO₂ in più rispetto alle cifre ufficiali. Per compensare questo eccesso mantenendo gli obiettivi climatici avrebbero dovuto vendere 1,1 milioni di auto elettriche pure in più. I contatori di bordo rivelano un dato sconcertante: i veicoli Plug-in Hybrid (PHEV) emettono in media 68 g di CO₂/km anche quando il display indica modalità elettrica, consumando circa 3 litri di benzina ogni 100 km. Succede perché il motore elettrico di molti modelli non ha potenza sufficiente per gestire da solo rampe, velocità autostradali o aria condizionata. In questi momenti il termico si riattiva automaticamente.

La maggior parte dei PHEV europei sono ibridi paralleli o misti, dove il motore a combustione è collegato meccanicamente alle ruote e deve adattarsi alle condizioni di guida. Non possono operare a regime costante come generatori ottimizzati. Quando la batteria si scarica e non viene ricaricata dalla presa, il motore termico deve trascinare 200-300 kg extra di peso – la batteria stessa – consumando più carburante di un’auto convenzionale equivalente.

Mercedes ha registrato nel 2023 un divario del 494% tra valori dichiarati e reali. La variabilità tra costruttori solleva domande che gli studi attuali non affrontano: quali sono le architetture PHEV marcatamente e costantemente più efficienti di un veicolo endotermico e quali sono gli approcci fallimentari all’ibrido? Perché alcuni modelli si avvicinano ai valori promessi mentre altri ne sono lontanissimi? E soprattutto: quali criteri minimi dovrebbe rispettare un veicolo per potersi definire “ibrido plug-in“?

La confusione è alimentata da strategie di marketing che definiscono “ibride” anche auto dotate solo di un sistema di recupero dell’energia in frenata – i cosiddetti mild hybrid. Questi veicoli non hanno capacità di trazione elettrica autonoma, non si ricaricano dalla presa, eppure vengono presentati al pubblico con l’aureola green dell’elettrificazione. Se un’auto con un alternatore potenziato può fregiarsi dell’etichetta “ibrida”, quale credibilità rimane per chi promette 50 km di autonomia elettrica?

Gli studi generalizzano per necessità statistica, ma sarebbe utile sapere quali soluzioni tecniche mantengono le promesse. I modelli con motori elettrici più potenti riescono davvero a evitare l’intervento del termico in città? I sistemi serie-ibridi, dove il motore lavora solo come generatore, si comportano diversamente dagli ibridi paralleli? E perché nessuno pubblica classifiche di affidabilità reale, modello per modello, basate sui dati OBFCM già disponibili?

Per i consumatori privati tutto ciò si traduce in circa 500 euro all’anno di costi nascosti in carburante. Per il clima significa che una tecnologia presentata come soluzione di transizione sta rallentando quella transizione, offrendo ai costruttori una via di fuga dalle normative senza cambiare i modelli di business. Le analisi ignorano completamente l’impatto della ricarica con fotovoltaico domestico e non distinguono tra architetture in serie e in parallelo. Un PHEV ricaricato regolarmente con 50-60 km di autonomia elettrica reale può coprire la maggior parte degli spostamenti quotidiani a emissioni quasi zero. Il problema è che questa condizione si verifica in minoranza.

La Commissione Europea ha iniziato ad adeguare i Fattori di Utilità basandosi sui dati OBFCM. Ma anche con le correzioni, previste per il 2027-2028, le emissioni reali rimarranno circa il 18% sopra i valori WLTP. Servirebbero incentivi legati all’uso effettivo controllabile tramite contatori, obbligo di infrastrutture di ricarica per le flotte aziendali e standard minimi che garantiscano vera capacità di funzionamento elettrico autonomo. Altrimenti continuiamo a sovvenzionare con soldi pubblici auto che sulla carta salvano il pianeta, ma sul campo fanno poco più delle loro antenate a combustione.

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