Il dittatore che balla con il mappamondo: 85 anni fa il geniale film di Chaplin

Oggi nel 1940 al Capitol e all’Astor di New York veniva proiettato pubblicamente il primo film parlato del genio di Chaplin, “Il grande dittatore". Un appello universale, una dichiarazione di intenti, una sfida aperta a Hitler e Mussolini. Il film esprime il sentimento di un’epoca ,ma riesce ancora oggi a trascendere il tempo.

Il dittatore che balla con il mappamondo: 85 anni fa il geniale film di Chaplin
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16 Ottobre 2025 - 16.39 Culture


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di Martina Narciso

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«O Cesare, o nessuno… Imperatore del mondo» sospira il grande dittatore avvicinandosi al piccolo mappamondo su cui ha ideato i suoi sogni di conquista. Lo ammira, lo sfiora, lo solleva, lo abbraccia, abbandonato alla sua fantasia capricciosa di poterci giocare con quel Mondo come se ne fosse il padrone assoluto. Allora lo lancia in aria, ci danza, salti e capriole e piroette, lo afferra, lo ruota tra sue mani, lo stringe e… poof! Esplode. Disperato e inconsolabile, ora il grande dittatore non ha più il suo piccolo mondo con cui giocare, è scoppiato per quei capricci puerili di chi troppo accecato dall’utopia di poterlo comandare, non l’ha sentito saltare in aria schiacciato dalle sue stesse mani criminali.

Opera visionaria e coraggiosa di uno dei più grandi protagonisti della storia del cinema, Charlie Chaplin, la prima mondiale de Il Grande Dittatore si tenne a New York, ben 85 anni fa, il 15 ottobre 1940. Audace e rivoluzionario il cineasta londinese ha saputo rendere il cinema ai suoi albori non solo passatempo o svago, ma soprattutto denuncia e resistenza.

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Noto come stella del muto grazie ai cortometraggi di Charlot, con Il Grande Dittatore Charlie Chaplin non solo porta la sua voce per la prima volta nelle sale, ma la usa anche per mettere in scena per la prima volta le vicende del regime nazista e dell’antisemitismo. In un periodo in cui i più faticavano a opporsi al nazismo, Chaplin ha avuto il coraggio di ridicolizzare Hitler, smascherandone la follia mitomane e opponendo ai suoi discorsi disumani e violenti parole solidali e pacifiche, tuttora attuali e potenti in un’epoca che ancora si nutre di odio e oppressione.

La pellicola è ambientata nello stato immaginario di Tomania, dove un Piccolo barbiere ebreo cerca di resistere ai soprusi antisemiti del Grande dittatore Adenoid Hynkel. Quando è costretto a scrivere sulle proprie vetrate “giudeo”, il barbiere si ribella alle camicie nere e pianifica un coup con il comandante ed ex aviatore della Grande Guerra Schultz. Ma il piano viene scoperto ed entrambi sono costretti a scappare, se non fosse che il barbiere decide di sfruttare la sua forte somiglianza con il dittatore e farlo travestito da soldato nazista. Di fatti, al confine austriaco è accolto trionfalmente dalla folla che lo attendeva per il suo comizio di odio e razzismo, che si trasforma piuttosto in un discorso di solidarietà e umanità, di ripudio per la dittatura, la violenza, il razzismo e il dolore.

«Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore. Non è il mio mestiere. Non voglio governare né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti, se possibile, Ebrei, Ariani, uomini Neri e Bianchi. […] In questo mondo c’è posto per tutti» è solo l’inizio di quello che sarebbe divenuto uno dei più famosi discorsi non solo nella storia del cinema, ma anche nella storia degli uomini – ancora oggi è studiato, analizzato e citato perché è un appello universale a salvaguardare la democrazia e la libertà, a ribellarsi all’odio e alla violenza e a lottare piuttosto per l’umanità e la fratellanza.

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Una dichiarazione di intenti esplicita, tant’è che in Italia il Minculpop dispose perentoriamente di “Ignorare la pellicola propagandistica dell’ebreo Chaplin”, visto il palese riferimento a Benito Mussolini nel personaggio di Napaloni.  Trascorsero quattro anni tra la prima mondiale a New York (ottobre 1940) e quella italiana a Roma (fine ottobre 1944). Non solo, per la riedizione del 1961 fu proposto di tagliare tutte le scene in cui appariva Napaloni/Mussolini, limitandosi però a eliminare solo la scena del ballo della moglie del personaggio per evitare reazioni della vedova Mussolini, all’epoca ancora viva. Si è dovuto attendere sino al 2002 per vedere quella famosa scena di ballo tra Madame Napaloni (Rachele Mussolini) e Hynkel, ma prima di allora il film non compariva sugli schermi italiani dal 1973.

Chaplin è riuscito a trasporre sulla pellicola il dramma del nazismo con una satira pungente e acuta, e per certi versi anche visionaria perché è riuscito a intuire brillantemente ciò che oggi comprendiamo facilmente seducesse dei dittatori dell’epoca: la retorica, le immagini, i simboli, lo spettacolo. Hitler conquistava le folle con la sua ars oratoria e fu Chaplin stesso, dopo aver analizzato i filmati di propaganda del Führer, a commentare: «Quel tipo è uno dei più grandi attori che abbia mai visto».

Insomma, il Dittatore parte dalla mediocrità e dal ridicolo dei dittatori come «pagliacci da circo» (scrive Ennio Flaiano nel marzo del 1961 per “L’Espresso”) per arrivare ai temi eterni di verità, libertà e giustizia, rimarcando la “banalità del male” dei regimi dittatoriali e inneggiando alla compassione, all’empatia, alla speranza, alla salvaguardia della democrazia e dell’umanità tutta, perché in fondo, riprendendo una frase del monologo del film, «Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine, l’uomo ha bisogno di umanità. Più che di intelligenza, abbiamo bisogno di dolcezza e bontà. Senza queste qualità, la vita sarà violenta e tutto andrà perduto».

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