di Giovanni Gozzini*
Se volete riacquistare un po’ di fiducia nel genere umano nonostante Trump e Putin andate a vedere il sito di +972 Magazine. Sono giornalisti israeliani e palestinesi che dal 2010 fanno giornalismo vero incorrendo spesso nei fulmini delle loro rispettive istituzioni. Sono stati loro i primi a svelare l’imbarbarimento della guerra dovuto all’adozione su vasta scala dei programmi di intelligenza artificiale da parte dell’esercito israeliano. Da 15 anni mettono in pratica quello che sarà l’unico futuro possibile per entrambi i popoli: un unico stato democratico dove convivere non solo in pace ma mettendo a frutto le rispettive intelligenze.
Chiunque oggi parla di due popoli e due stati (cioè quasi tutti) mente sapendo di mentire: 700 mila coloni arrivati poveri in canna (non solo di denaro ma anche di cultura) dall’URSS dopo il 1991 e sparsi per tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme ovest non li riporta indietro nessuno. Ma sono loro il cancro che ha cambiato in senso antidemocratico la società e la politica israeliana. L’assassinio di Rabin (1995) e degli accordi di Oslo (1993, pace in cambio di territori affidati all’Autorità Nazionale Palestinese) sono stati il loro biglietto di visita.
Non si possono sterminare perché non siamo come loro (pronti ad applicare la soluzione finale a tutti i palestinesi) ma Israele deve riequilibrare la loro presenza integrando almeno altrettanti arabi nel proprio tessuto civile. Ci vorranno diverse generazioni? Sicuro, ma israeliani e palestinesi contano la storia in termini di secoli, non di anni. E +972 Magazine dimostra già adesso che è possibile. Naturalmente anche chi ciancia “From the river to the sea, Palestine will be free” non sa di cosa parla. Si fermasse solo un attimo a pensare, dovrebbe contare che spostare 8 milioni di israeliani (di cui un milione arabi) per fare posto a 4,5 milioni tra gazawi e abitanti della Cisgiordania è qualcosa che non è riuscito nemmeno a Hitler. Perché una parte consistente dei cittadini israeliani si ribella a Netanyahu mentre a Gaza nessuno si ribella ad Hamas nonostante le sofferenze incomparabilmente più atroci loro inflitte? Le uniche proteste che abbiamo visto baluginare sono altre tribù armate senza uno straccio di programma politico visibile.
Qui stanno le differenze cruciali. Israele è una democrazia dove la politica conta ancora. Il mondo palestinese molto meno perché immerso in una narrazione pseudoreligiosa in cui conta la Naqba (la catastrofe del 1948 con l’instaurazione dell’entità sionista, qualcosa di simile al peccato originale e a Satana) e il martirio. Ho incontrato troppi studenti palestinesi disperati per questo e senz’altro futuro possibile (da vivi) che lasciare le proprie famiglie e la propria terra. Israele non è una propaggine del colonialismo europeo. A differenza di Cristoforo Colombo ed eredi, gli ebrei vivevano in quelle terre tempo addietro (Gesù Cristo era uno di loro) e sebbene in pochi hanno continuato a rimanervi fino al 1948. In Israele è possibile costruire una alternativa a Netanyahu e ai coloni.
A Gaza (almeno finora) no. Quando nel 1943 gli italiani vengono bombardati dagli Alleati danno la colpa a Mussolini e cominciano da sé a preparare la loro liberazione. Si fossero limitati a lamentarsi degli Alleati (il loro Netanyahu) saremmo ancora lì. La storia ci insegna che i terroristi (Irlanda, Paesi Baschi, magari anche l’Italia degli anni settanta) non si possono estirpare dall’esterno. E infatti Netanyahu dopo quasi tre anni di guerra è ancora lì. Dai terroristi si possono liberare solo i popoli che i terroristi dicono di rappresentare, semplicemente facendo mancare il consenso.
E oggi in Irlanda e in Spagna sono tutti contenti di essersene liberati perché non portavano da nessuna parte, se non la loro autoaffermazione (via via sempre più violenta, anche contro i loro stessi popoli). La democrazia, appunto. A Gaza questo ancora non si vede. Ma è questo che dobbiamo costruire.
*Giovanni Gozzini si occupa di storia della globalizzazione e delle disuguaglianze. Docente di storia contemporanea all’Università di Siena
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