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Baudo, mago e signore nel "mondo di ieri"

La sincera commozione per la scomparsa di un un grande uomo di televisione che - insieme a Mike Bongiorno, Maurizio Costanzo e Renzo Arbore - ha rappresentato l’evoluzione del costume e del modo di vivere degli italiani. Signore nei comportamenti e nel linguaggio nell’era pre-social

Baudo, mago e signore nel "mondo di ieri"
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17 Agosto 2025 - 20.36 Culture


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di Enrico Menduni*

Così anche Pippo Baudo ci ha lasciato e questa volta non è una fake news: ne erano circolate abbastanza negli ultimi anni. Grande è cordoglio di tutti, e non poteva essere diversamente per un signore che ci ha intrattenuto con gentilezza, in radio, in televisione, ovunque, per più di mezzo secolo. Tuttavia in questa emozione diffusa c’è di più: probabilmente l’idea che Baudo insieme ad altri protagonisti mediali (Mike Bongiorno, Maurizio Costanzo) ha rappresentato l’evoluzione del costume, del gusto, del modo di vivere degli italiani in cui il benessere giungeva se non tutti a molti, e comunque si annunciava – via radio e poi via televisione – prima di arrivare. 

L’intrattenimento garbato ed efficace era per lui una variante popolare della politica: non so se da abile diplomatico Pippo avrebbe condiviso questa affermazione, ma ricordo il modo elegante, e la civiltà, con cui gestì il palco di Sanremo (era il 1984) invitando in trasmissione gli operai dell’Italsider di Genova che manifestavano davanti al Teatro Ariston contro i licenziamenti annunciati dall’azienda che, detto fra parentesi, era di proprietà pubblica come la Rai. Guardatelo se volete al seguente link, sono tre minuti su RaiPlay.

Nella sensazione che proviamo, di fronte alla scomparsa di quest’uomo pre-social, pre-smartphone, pre-Netflix, e persino democristiano, c’è però ancora un altro aspetto: l’impressione che quel mondo in cui tutti noi siamo vissuti (complessivamente: abbastanza bene) è terminato, concluso, finito. Una società non certo perfetta, né totalmente giusta, non sempre corretta, ma improntata a valori di civiltà. È il “mondo di ieri”, e riprendo consapevolmente il titolo di un grande libro di Stefan Zweig (1942), il cui sottotitolo (che oggi ci interessa particolarmente) è “Ricordi di un europeo”1: Zweig esule racconta, con nostalgia, i valori e i meriti dell’impero asburgico. Ma per distruggere quel mondo c’era voluta la prima guerra mondiale, con tutto quello che ne seguì. Da noi il passaggio è avvenuto in altro modo, insieme al frammentarsi di una “civiltà delle buone maniere”(e qui cito Norbert Elias).2 Forse con una “guerra mondiale a pezzi” (Papa Francesco).

Non sto certo paragonando la conduzione sobria di Pippo Baudo al frasario di Donald Trump; però nelle sensazioni di oggi colgo l’idea che la sua scomparsa coincide con la fine dell’epoca delle trasmissioni. C’erano i media che diffondevano le notizie e le idee (della società, della politica, dell’economia) ad un pubblico di spettatori, di lettori, di fruitori, di consumatori, di acquirenti. Una audience, un “popolo di concorrenti” per citare un altro raffinato protagonista di quel mondo, Renzo Arbore.3 All’epoca chiunque aveva certamente piena libertà di scattare fotografie, girare video, comporre e cantare canzoni, scrivere articoli o libri; tuttavia se voleva che i destinatari di queste creazioni eccedessero l’ambito dei parenti e degli amici stretti, doveva far sì che i media (scritti, illustrati, vocali, audiovisivi) li trasportassero ai potenziali fruitori-clienti, non prima di averli formattati secondo le loro regole. I media però non erano obbligati a farlo e i loro spazi erano comunque molto più ristretti dagli aspiranti contributors e collaboratori.

Era un filtro molto potente per i media. La loro scelta di pubblicare un pezzo, fare un programma o un film, promuovere un libro, dipendeva da un complesso di valutazioni (di potere, di rapporti con la politica, di convenienza economica, di “stile” e collocazione editoriale di ciascuna testata e di ciascun media). In questo mondo i “mediatori”, coloro che riuscivano a scegliere i personaggi e i contenuti, e a formattarli secondo le loro regole erano molto ricercati: i grandi direttori di giornali e di case editrici, gli autorevoli consiglieri e consigliori, i dirigenti dei palinsesti radio e televisivi, i protagonisti, conduttori e “mattatori” dei media visuali. 

I migliori erano quelli che riuscivano a capire gli altri, non far coincidere le proprie scelte di spettacolo con le proprie opinioni, tenere sempre in conto la natura “generalista”, erga omnes, del giornale a rotocalco o del flusso televisivo. Nello spettacolo, i maestri erano quelli che riuscivano a dominare la scena senza egemonizzarla, “lanciando gli altri”: il presentatore televisivo (il “bravo presentatore” di Arbore), poi promosso conduttore. Termine questo tranviario, demonizzato da quegli avvisi sui mezzi pubblici (“Non parlate al conduttore”) ma provvisto di un concetto di perizia, di cura del proprio lavoro, di capacità tecnica e di conoscenza del mezzo. E, non dimentichiamo, della capacità di districarsi nel traffico. Pippo Baudo nasce presentatore e diventerà conduttore, anzi incarnerà in sé l’identikit del conduttore, quello che può condurre tutto. E infatti ha condotto festival di Castrocaro, di Napoli e di Sanremo (12 volte), quattro Dischi per l’estate, Domenica In (16 stagioni), persino lo Zecchino d’Oro, tre Telethon….. 

Vivi applausi. Però tra 2006 e 2010, appena è svanito l’incubo dell’11 settembre 2001 e il conseguente rallentamento dello sviluppo delle telecomunicazioni, abbiamo visto nascere lo smartphone e i social network, YouTube e Netflix. L’utente comune ha cominciato a raccontare i fatti propri sui social: chiamalo, se vuoi, storytelling, ma significa che i media tradizionali sono dovuti diventare social network. Non sono gli unici soggetti deputati alla trasmissione (le notizie, l’intrattenimento), ma competono con le “persone comuni”, dizione che ora richiede vistose virgolette prima e dopo perché i soggetti che trasmettono notizie, video, foto, commenti non sono solo la signora del piano di sotto o il bottegaio dell’angolo ma gruppi di persone, aziende, istituzioni, hackers, truffatori vari di pensionati, disinformatori professionali preferibilmente russi. La fatica di discernere il vero dal verosimile, l’opinabile dal falso è sempre più difficile, anche prima dell’Intelligenza Artificiale. 

I giornali in edicola, i film nei cinematografi, i libri in biblioteca ci sono; la televisione c’è ancora, ma non agli orari e sui canali dei conduttori. Ma lo spirito del tempo è altrove. Ciascuno preleva i contenuti che vuole, gratis o pagando, all’ora che preferisce, in casa ma anche con lo smartphone sugli autobus ormai privi della scritta “Non parlate al conduttore”. Si comanda attraverso i social, facendo si che il proprio storytelling prevalga su quelli altrui, almeno fino a domani, quando potremo cambiare totalmente idea e comunicarlo ai nostri contatti, amici, fan, follower come se niente fosse.

Affermarsi in questo mondo è molto diverso, altri sono i trampolini per il lancio, altri i modi per emergere e farsi strada. Come si vede, anche ai livelli mondiali più alti. Per questo la commozione per Pippo Baudo si vena di nostalgia.

*studioso di storia dei media

Note:

  1. Stefan Zweig, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, tradotto in Italia nel 1945 (appena riconquistata la libertà). ↩︎
  2. Norbert Elias, La civiltà delle buone maniere. La trasformazione dei costumi nel mondo aristocratico occidentale, Bologna, il Mulino, 1982. ↩︎
  3. Renzo Arbore, Sì la vita è tutt’un quiz, dalla trasmissione televisiva “Indietro tutta“, Rai 2, 1987-88.  Sottolineo, tenendo conto dell’odierno esprit du temps, la presenza nel testo di ironiche citazioni anni Trenta : “Aspetta e spera”, “Teniamo alta la nostra bandiera”, “Bisogna vincere, e vinceremo!”. ↩︎

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