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Pastorale Americana e la tragedia del sogno borghese

Philip Roth, nel suo celebre romanzo del 1997, racconta la fragilità dell’American Dream tra guerra e contestazione sociale.

Pastorale Americana e la tragedia del sogno borghese
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4 Luglio 2025 - 10.21 Culture


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di Margherita Degani

Il sogno americano non muore all’improvviso. Si sbriciola lentamente, sotto il peso delle sue stesse promesse. E tra le sue macerie, la letteratura cerca nuove forme per raccontare questa disillusione. Nessun genere lo ha fatto con tanta profondità come la pastorale, trasformando l’idillio agreste — un tempo simbolo di purezza e rinascita — in un campo di battaglia tra immaginazione e realtà. In questo contesto, Pastorale americana di Philip Roth rappresenta una delle più feroci e lucide narrazioni del collasso di quel sogno edenico, che per decenni ha alimentato l’identità americana e l’immaginazione estera.

Nel corso del XX secolo, il genere pastorale americano si trasforma radicalmente, passando dalla descrizione di un luogo di equilibrio tra uomo e natura a quella di uno scenario artificiale, estetizzato ed infine illusorio. Come sottolineano studiosi della portata di Leo Marx e Terry Gifford, infatti, la pastorale moderna non è più tanto un ritorno sincero alla natura, quanto invece una messinscena borghese. Il rifugio rurale — fatto di villette con giardino, di sobborghi silenziosi, di vacanze in campagna nella “vergine terra” — diventa in realtà emblema di possesso e distinzione sociale.

È l’immagine pubblicitaria di un Eden acquistabile, una proiezione ideologica più che un’esperienza autentica. Tuttavia, questa costruzione è fragile e proprio nella sua fragilità si riflette la crisi del sogno americano, individuale e collettivo ad un tempo. L’ideale pastorale, piegato agli scopi del capitalismo industriale, smette di essere una speranza e si rivela una maschera. Proprio nella volontà di spogliare questo falso mito risiede, allora, il cuore della grande narrativa americana del Novecento; in tal senso, Pastorale americana è un’opera emblematica.

Seymour Levov, detto lo Svedese, è il protagonista perfetto per incarnare la caduta all’uomo all’interno di questo ideale edenico: figlio del New Jersey operaio, imprenditore integerrimo, sposato con una ex reginetta di bellezza e proprietario di una villa – non a caso- immersa nel verde rappresenta il sogno americano di rispettabilità e successo. In poche parole, ha tutto quello che si può desiderare.

Ma anche queste evidenti certezze si rivelano insufficienti quando la figlia Merry, radicalizzata politicamente negli anni della guerra del Vietnam, compie un attentato dinamitardo che uccide un uomo e distrugge il fragile equilibrio familiare, per poi fuggire. Lo stesso gesto diventa una bomba simbolica lanciata contro il paesaggio pastorale, così idilliaco ed ambito, sempre perfetto. LEden dello Svedese, come ogni altro paradiso ed ideale, nasconde in realtà un disagio profondo che emerge quando il sogno viene messo in discussione.

La casa nella campagna, il matrimonio perfetto, la fabbrica ereditata dal padre, ciò che sembrava eterno e rassicurante si rivela in realtà transitorio, fittizio e contaminato dai semi della Storia che già conteneva in sé. Roth ci mostra che l’idillio americano, nella seconda metà del Novecento, è solo una sottile vernice sopra una realtà sociale instabile, repressiva e conflittuale.

Pastorale americana si inserisce in un più ampio processo letterario di decostruzione del genere pastorale, osservabile in molti altri testi – che si muovono da John Steinbeck a Joyce Carol Oates, da Cormac McCarthy ad Kent Haruf- che descrive una realtà rurale ben lontana dall’Eden. La campagna è infatti luogo di traumi, miseria ed incomunicabilità così come la natura è diventata estranea, inaccessibile, compromessa dal dominio tecnologico ed industriale dell’uomo.

Così il sogno americano si dissolve nella consapevolezza che ogni paradiso moderno è anche, potenzialmente, un inferno. Il giardino non è più promessa di pace, ma scenario di frattura, di solitudine e di fallimento. Ma è proprio da questo fallimento che nasce un nuovo sguardo. Non c’è più nostalgia per un’Arcadia perduta, bensì un’indagine attenta sul desiderio che ha costruito quell’Arcadia e Pastorale americana fa questo.

Non celebra, né rimpiange: semplicemente smaschera. In questo modo Roth rinnova il genere, trasformando la pastorale in uno strumento di riflessione critica sul rapporto tra individuo, ideologia e natura, nella convinzione che la Letteratura non debba più raccontare l’Eden, ma scavarne in qualche modo le sue rovine.

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