Il lavoro da remoto, una necessità imposta dalla pandemia, è oggi una realtà consolidata per quasi un terzo degli italiani (29% nel 2025), trasformandosi in un fattore chiave per conciliare vita privata e professionale. Questa tendenza ha aperto nuove prospettive, dal nomadismo digitale a stili di vita più flessibili nella propria città. La parola d’ordine è flessibilità, ma un’indagine recente condotta da Unobravo, piattaforma di psicologia online, ha rivelato un lato meno luminoso di questa medaglia: per quasi un italiano su quattro, il lavoro da remoto ha avuto un impatto negativo sulla salute mentale.
Attualmente, la maggior parte delle aziende italiane ha adottato approcci ibridi, combinando giorni in presenza con giorni di lavoro da casa. L’indagine Unobravo evidenzia che il 21% dei lavoratori è ibrido e l’8% lavora interamente da remoto. Come prevedibile, i lavoratori autonomi sono i più coinvolti (22% completamente da remoto, 31% in modalità ibrida), mentre solo il 4% dei dipendenti a tempo pieno lavora esclusivamente da casa.
Per quanto riguarda i settori, Marketing, Pubblicità e Relazioni Pubbliche si distinguono per la maggiore flessibilità (70% ibrido o completamente da remoto), seguiti da Tecnologia e IT (61%). Al contrario, settori come Salute e Assistenza Sociale (16%), Legale (18%) e Commercio al Dettaglio e Vendite (19%) richiedono prevalentemente la presenza fisica.
Esistono anche differenze geografiche: Foggia e Roma sono le città più “avanti” con il 40% della forza lavoro in modalità flessibile. Interessante notare come Roma prediliga l’ibrido (26%), mentre Foggia registri una percentuale analoga di lavoro completamente da remoto, suggerendo una maggiore attrattiva di quest’ultima modalità nelle aree meno densamente popolate. Prato e Taranto, con solo il 13% dei lavoratori in modalità flessibile, si posizionano in fondo alla classifica, seguite da Rimini (17%).
Nonostante le sfide, i benefici del lavoro da remoto sono innegabili. Quasi la metà degli intervistati (46%) ha indicato come principale vantaggio un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, grazie all’eliminazione degli spostamenti pendolari e a un maggiore controllo sui propri orari. Altri benefici significativi includono la riduzione dello stress o dell’ansia quotidiana (33%), più tempo per la cura di sé o l’esercizio fisico (27%) e una maggiore concentrazione o produttività (19%). Questi ultimi aspetti evidenziano come il remote working possa apportare vantaggi anche ai datori di lavoro, andando oltre il semplice risparmio su affitti e costi energetici.
Ma, non è tutto oro quel che luccica. Mentre il 15% degli intervistati non segnala svantaggi significativi, il 46% evidenzia un impatto negativo sulla salute mentale. I problemi più denunciati sono la difficoltà a disconnettersi dal lavoro (27%), la sensazione di isolamento o solitudine (26%) e i confini sfumati tra vita personale e lavorativa (23%). Anche l’aumento del tempo trascorso davanti allo schermo e l’affaticamento digitale (22%) sono preoccupazioni significative. Meno frequenti, ma pur sempre rilevanti, sono una ridotta motivazione o senso di realizzazione (11%) e una disconnessione dalla cultura aziendale (10%), problematiche che possono influire negativamente sia sul benessere del singolo che sulla performance aziendale.
Gli esperti di Unobravo suggeriscono strategie che sia i singoli individui che i datori di lavoro possono adottare per promuovere esperienze di lavoro da remoto più sane. I singoli individui possono creare una routine poiché stabilire orari di lavoro regolari, fare pause programmate e definire una chiara fine della giornata lavorativa sono essenziali per prevenire il burnout e mantenere limiti mentali sani. Mantenere la connessione sociale attraverso interazioni regolari con colleghi (anche virtuali), momenti di confronto in team e giornate di co-working condivise può contrastare il senso di isolamento. Inoltre, dedicare tempo all’attività fisica è cruciale per combattere la sedentarietà; anche brevi passeggiate o stretching tra le riunioni possono fare la differenza.
I datori di lavoro, invece, dovrebbero rendere la connessione sociale una priorità. Effettuare check-in regolari, videochiamate informali e incontri occasionali di persona sono fondamentali per mantenere la coesione del team, creando spazi per la connessione umana che aiutano i dipendenti a sentirsi parte di un gruppo. Parlare apertamente e spesso di salute mentale, attraverso formazione, sessioni educative e conversazioni aperte, può contribuire a normalizzare questo tema come parte integrante della vita lavorativa quotidiana. È importante anche formare i responsabili per individuare tempestivamente i problemi: i manager dovrebbero essere attenti non solo ai compiti svolti, ma anche al benessere delle persone.
Riconoscere cambiamenti nel tono, nella comunicazione o nell’energia può essere un segnale precoce di disagio e sapere come reagire può fare la differenza. Infine, offrire un supporto reale e accessibile, che si tratti di terapia online, programmi di assistenza ai dipendenti (EAP), o strumenti come la mindfulness. I dipendenti devono essere consapevoli delle risorse disponibili e sentirsi sicuri nell’utilizzarle. Orari flessibili, giornate dedicate alla salute mentale e la possibilità di disconnettersi davvero possono essere di grande aiuto.
Il lavoro da remoto offre indubbiamente numerosi vantaggi, ma è fondamentale riconoscere e affrontare i potenziali rischi per la salute mentale. Con un approccio consapevole e proattivo da parte sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, è possibile massimizzare i benefici della flessibilità minimizzando gli effetti negativi.