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C’è una ragione se “Pink Floyd at Pompeii” sbanca al botteghino

È uno dei film recenti più visti al cinema: le proiezioni prolungate fino al 7 gennaio - quella magica  atmosfera, lontano dai palchi e nel cuore del parco, ha fatto nascere un capolavoro - mille i motivi per vederlo

C’è una ragione se “Pink Floyd at Pompeii” sbanca al botteghino
Fonte: radiorock.it
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3 Maggio 2025 - 17.10 Culture


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di Lucia Mora 

Se Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII è tra i film più visti al cinema da più di una settimana a questa parte, tanto da aver spinto le sale a prorogare la proiezione fino al 7 maggio, un motivo c’è. Anzi, più di uno. Probabilmente mille.

Ai fan non serve elencarli. Il fan medio dei Pink Floyd indossa la maglietta di The Dark Side of the Moon anche sotto la doccia e riconosce già in quei quattro disgraziati la più grande band di tutti i tempi. È a chi non li conosce, o li conosce poco, che bisogna spiegare perché il live a Pompei va visto al cinema, preferibilmente in una sala IMAX e con un golfino per coprire la pelle d’oca.

Siamo nell’ottobre del 1971. I Pink Floyd hanno appena ultimato Meddle, mentre il capolavoro che li renderà immortali e che cambierà per sempre le loro vite, cioè Dark Side, è ancora solo un’idea in gestazione. A Roger Waters, David Gilmour, Nick Mason e Richard Wright non piace l’etichetta di “musica psichedelica da LSD”, vorrebbero scrollarsela di dosso, ma quello che stanno per mettere in atto tra le rovine della città sepolta dal Vesuvio è talmente lisergico che il risultato sembra effettivamente un trip da stupefacenti. Il migliore che un essere umano possa sperimentare.

Nessun biglietto in vendita, niente pubblico. Solo microfoni, quattro piste, vento e sabbia. Non diventa leggenda (solo) chi riempie gli stadi, ma chi consegna alla storia uno dei live più belli mai concepiti sovvertendo tutte le regole, scritte e non scritte, sia degli eventi dal vivo sia del rock negli anni post Woodstock. I Pink Floyd rinunciano al palcoscenico, alla folla oceanica e a ogni forma di adulazione dell’ego – e non è scontato, per due solipsisti come Waters e Gilmour – preferendo l’eternità al successo immediato. Semplice: quando sei un fuoriclasse, non servono altri fronzoli. Basta il tuo strumento. «Non mi sono mai infilato una piuma di struzzo nel culo per cantare», direbbe Francesco Guccini.

Il massimo dell’appariscenza estetica in tutto il concerto è l’arcobaleno che colora la farfalla sulla maglia di Mason in qualche fotogramma. Nascosto dietro alla batteria, Nick esegue una Set the Controls for the Heart of the Sun come mai era riuscito a fare, e come non gli riuscirà mai più in futuro. L’atmosfera rarefatta e intrisa di memoria di Pompei lo ispira in una maniera difficile anche solo da immaginare. Il crescendo ossessivo con cui carica quei tamburi in quei dieci minuti non si spiega: si vive. 

A completare la perfezione assoluta del live c’è l’assist migliore che un musicista possa desiderare in post-produzione: il remixaggio è affidato a Steven Wilson. A chi non dovesse conoscere i lavori di Wilson da solista o con i “suoi” Porcupine Tree basti sapere questo: affidargli la cura del suono è come affidare un pallone da pallacanestro a LeBron James. Dopo il remix di Wet Dream, primo album solista di Wright, Wilson torna a lavorare su materiale floydiano con la maestria che lo contraddistingue. Persino l’ululato del cane in Mademoiselle Nobs ci arriva nitido, e di norma quel momento coincide con l’amara presa di coscienza che anche un latrato supera il miglior (ammesso che esista) singolo di Tony Effe.

Nota a margine: nel film non si vedono solo immagini nel parco archeologico. Si vedono anche estratti della creazione di Dark Side negli studi londinesi di Abbey Road, poche e semplici riprese che contengono già tutta l’essenza dei quattro: il genio maniacale di Roger alle prese con i primi sintetizzatori, la naturalezza del talento di Dave alla Stratocaster, la compostezza di Rick al piano mentre esegue quell’apice musicale straordinario che è Us and Them, l’ironia di Nick che riesce a far sorridere un gruppo a dir poco tormentato.

Chi si perde la visione in 4K con suono in Dolby Atmos di Pink Floyd At Pompeii – MCMLXXII merita l’ascolto forzato e perpetuo della Balorda nostalgia sanremese di Olly. È un concerto che fin dall’inizio non è stato concepito per un pubblico ristretto, non è mai stato per pochi fortunati: è di tutti. E ora dispone della potenza visiva e acustica che merita. Andate e godetene.

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