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"Here", o dell’immutabile mutare di luoghi e sentimenti

Il viaggio grafico di Robert Zemeckis dalle origini del mondo ad oggi in una carambola di emozioni

"Here", o dell’immutabile mutare di luoghi e sentimenti
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20 Gennaio 2025 - 12.59 Culture


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di Caterina Abate

Dal 9 gennaio è nei nostri cinema il nuovo film di Robert Zemeckis Here, con sceneggiatura di Eric Roth e il ritorno della coppia Tom Hanks/Robin Wright come protagonisti, a trent’anni dall’uscita di Forrest Gump. Il soggetto non è del tutto originale, ma tratto dalla omonima graphic novel di Richard McGuire, e avere nota quest’informazione, è essenziale per apprezzare davvero la visione del film che non si incardina come un capolavoro, ma resta comunque un film godibile seppur con dei difetti.

Partiamo quindi da “Qui” letteralmente, l’opera grafica di McGuire, che fa uscire sulla rivista Raw, nel 1989, le prime 6 pagine con l’idea di rappresentare un luogo attraverso i secoli, per poi riprenderla nel 2014 intitolandola evocativamente “Here” (in Italia “Qui” è edito da Rizzoli Lizard dal 2015, con la traduzione di Steven Piccolo). Le strisce si articolano in una serie a volte affastellata di riquadri, come degli squarci che mostrano cosa succede nella stessa medesima porzione spaziale, ma in anni o secoli non cronologicamente ordinati.

Ed è questo espediente che Zemeckis in effetti riesce bene a riprodurre, grazie anche alla fotografia di Don Burgess, con cui aveva già collaborato varie volte (da Forrest Gump, per cui riceve una nomination agli Oscar, fino a Polar Express). Lo spettatore potrebbe restarne inizialmente un po’ perplesso, se non sa quale sia la matrice di quest’espediente visivo, ma il film va avanti e chi guarda non può restare troppo a soffermarsi.

A scorrere sullo schermo è, infatti, la storia di un luogo che attraverso i millenni viene attraversato dalla vita che cambia e, forse, il mutamento è uno degli argomenti su cui Zemeckis ci costringe a riflettere. Lo fa anche attraverso l’uso, talvolta saturo e discusso della tecnologia, per ricostruire ambientazioni esterne e forme di vita animale estinte e non, ma anche per ringiovanire o invecchiare i volti di Hanks e Wright.

Vi si muovono esseri viventi e accadono eventi di importanza planetaria o che qui trovano ripercussione a partire dall’estinzione dei dinosauri fino al covid-19. L’ambiente muta, dalle foreste si passa alla costruzione delle case coloniali e poi ai sobborghi delle città. Ancora una volta un unico punto di vista, si aprono tanti riquadri da cui vediamo il passare del tempo, anche se non sempre in modo chiaro.

Con la costruzione della casa del 1902 entra in gioco un nuovo protagonista: la casa stessa che col suo salone dall’ampia finestra che sarebbe piaciuta molto ad Edward Hopper (McGuire sceglie una visione trasversale, Zemeckis opta per una maggiore anche se non totale frontalità, forse perché più consona allo schermo cinematografico). Qui abiteranno inquilini decade per decade diversi, ma con sentimenti e vicende differenti ed uguali al contempo.

Il film di Zemeckis è un film sul mutamento e sui sentimenti che mutano ma restano tali, nell’essere vivi e veri, nonostante lo scorrere delle epoche e il diversificarsi dei giocatori in campo. Ma è anche un film sulla memoria, sul recupero di questa attraverso il riemergere dei ricordi, che riaffiorano piano piano da un passato che è, allo stesso tempo, presente e che potrebbe essere futuro nonostante i protagonisti potrebbero appunto essere diversi (l’ultima scena, forse tra le più commoventi, vale, per chi scrive, la visione del film). 

Decade per decade quindi nuovi personaggi e alterne vicende ed emozioni, come il conflitto generazionale figlio/padre tra William Franklyn e Benjamin Franklyn nel ‘700, la coppia di nativi americani che si innamora su quel masso al chiaro di luna, quando ancora la casa con il suo salone e la sua finestra erano ben lungi dall’esistere. Coinvolgono lo spettatore sia la gioia della bimba che prova il volo nei primi del ‘900 grazie al papà appassionato aviatore e nonostante la contrarietà della mamma suffragetta, sia l’esuberanza edonistica della coppia che vive la casa negli anni ’20, l’arrivo della famiglia di Al e Rose con lui reduce dalla seconda guerra mondiale. Il loro arco narrativo è quello più indagato, perché le loro vicende e quelle dei loro figli vi si svolgeranno per oltre due lustri.

E qui possiamo inserire un elemento di polemica sulla tecnologia. Invece di far interpretare i loro personaggi da attori di diverse età, Zemeckis decide di modificare i volti di Tom Hanks e Robin Wright non in post-produzioni, ma direttamente sul set, attraverso la tecnologia della VFX Metaphysic, un software di intelligenza artificiale, che allenata con un gran numero di immagini (anche interviste) deI due attori da giovani, riesce ad elaborarne un’immagine ringiovanita o invecchiata, a seconda della scena da girare, in presa diretta. Una tecnologia simile era già stata utilizzata in The Irishman di Scorsese(in quel caso era la ILM di George Lucas ad occuparsene), ma era ancora acerba e macchinosa. In questo caso la riuscita sembra migliore, anche se il ringiovanimento facciale non sempre si accompagna ad una congrua fisicità ed i volti diciottenni di Tom Hanks e Robin Wright risultano un po’ anacronistici sui fisici che mantengono praticamente per tutto il film.

Da non dimenticare l’ultimo filone della trama, quello che interseca la storia degli inquilini della casa con l’epocale evento del covid-19. Ecco che entra in gioco una nuova famiglia, questa volta una coppia di afroamericani benestanti che acquistano la casa ad un milione di dollari, hanno un figlio adolescente ed una domestica latina. Eppure, nonostante la possibilità economica, fa riflettere la scena in cui i due genitori raccomandano al figlio l’atteggiamento prudente e condiscendente da mantenere nel caso venga fermato dalla polizia. Pochi tratti, ma sufficienti per Zemeckis e Roth, per delineare la realtà sociale di chi vive ogni giorno l’America con la sottolineatura della sua modernità (o dovremmo dire l’evoluzione) che viaggia sempre su due binari, uno in avanti veloce, l’altro lento o addirittura all’indietro. E poi, l’intersecarsi nella vicenda del covid-19 è l’accenno che ci regala la viva contemporaneità di questo film. 

Nella complessità di Here emergono delle aspirazioni mancate e annotiamo i punti di forza proprio nei brani tragicomici come piace al regista (in Forrest Gump ricordiamo la corsa infinita del protagonista). La squadra Hanks/Wright/Roth/Burgess affianca Zemeckis con abilità ciò che ne esce non è esattamente un capolavoro, ma un film comunque godibile, che se guardato con un pizzico di attenzione ai dettagli può regalare la leggerezza di un sorriso e qualche concreta riflessione sui sentimenti che muovono il mondo dall’origine dei tempi. 

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