Nella foto che introduce questo articolo una ragazza osserva una fotografia dove un ragazzo in jeans e giubbotto verde in una cabina porge la sua chitarra a qualcuno. A sinistra in un’altra cabina una ragazza con zaino sta parlando o ascoltando o è in attesa. Firma la foto il canadese Jeff Wall e occupa una parete nella sua mostra aperta alla Fondazione Mast di Bologna fino all’8 marzo 2026 “Living, Working, Surviving”, curata da Urs Stahel e inserita nella Biennale di fotografia dell’industria e del lavoro dell’istituto bolognese.
In forma sottile è una foto drammatica, di una drammaturgia politica se vogliamo, perché riprende due ragazzi al banco dei pegni. Sono in difficoltà pertanto. E lo scatto dice della poetica di questo artista nato a Vancouver nel 1946: in immagini spesso a dimensioni naturali, come nei cosiddetti tableaux vivant, riesce a condurre il lato povero, perfino derelitto, della vita nordamericana verso una dimensione vagamente onirica, con rovelli irrisolti, disagi e marginalità sociale. La rassegna propone 28 opere e ha un catalogo edito da Schirmer & Mosel Verlag con un saggio critico del curatore Stahel.
Confermano la capacità di Wall di suggerire momenti duri e, in apparenza talvolta difficili da spiegare razionalmente, le foto sul sito delle Gallerie d’Italia – Torino di Intesa Sanpaolo pubblicate online per promuovere la mostra “Jeff Wall. Photographs”, aperta fino all’1 febbraio e curata da David Campany. La sede piemontese raccoglie 27 scatti. Sono “immagini al tempo stesso familiari e perturbanti. Ci portano dentro cucine, salotti e camere da letto dove l’ordinario diventa onirico. Non è il trucco a impressionare, ma l’equilibrio tra cronaca e teatro. Ed è proprio questa oscillazione a rendere l’opera di Wall sempre attuale”, sintetizza bene Germano D’Acquisto in una recensione sul Giornale dell’Arte pubblicato da Allemandi. La società torinese è editrice del volume su Wall, “Photographs”, curato anch’esso da Company, che di ogni foto riprende due dettagli a piena pagina per consentire di scoprire a fondo la natura delle sue immagini.
D’Acquisto coglie la capacità di Wall di catturare istantanee di storie dalle molte possibili implicazioni. L’autore canadese crea frammenti di storie: imposta set come fossero set cinematografici e tra i suoi modelli cita il cinema, per esempio quello neorealista. A chi scrive qui fa più volte pensare a David Lynch, al Lynch di film come l’inquietante Mulholland Drive. Perché sa essere enigmatico, Wall, muove dalla realtà quotidiana per scavare più a fondo e non rivela tutto.
Alla stampa a Bologna l’autore di Vancouver a inizio novembre ha parlato di una impostazione “quasi documentaristica” e chiarito: “Non uso termini come ‘messa in scena’, è chi guarda che crea la narrazione, ci sono più modi di dire la verità”. Il fotografo non adotta il termine “verità” superficialmente: il suo lavoro poggia su un essere partecipe, sottovoce, delle tribolazioni di chi conosce la fatica di vivere per ragioni sociali ed economiche o, chissà, emotive e psicologiche. In altre parole, l’autore crea un set e una situazione per cogliere qualcosa dietro il visibile eppure presente.
A Bologna il comunicato cita i grandi dipinti di Velazquez e Delacroix, ai giornalisti Wall ha richiamato Rembrandt e Vermeer e precisando di non sentirsi “un tradizionalista né un conservatore”. Una possibile definizione che vuole proprio rifuggire se, in un’intervista a Rica Cerbarano sempre sul Giornale dell’Arte, ha specificato di non nutrire “un particolare rispetto per la ‘tradizione’; sono colpito e in una certa misura influenzato tanto dall’arte antica, diciamo Giotto, quanto da quella nuova, diciamo Pierre Huyghe”.
Il discorso si inquadra nell’estrema cura formale delle sue opere, nei dettagli. Come nella scena delle tre donne e dell’uomo di spalle che puliscono polli in una specie di magazzino sovraccarico di attrezzi da lavoro, biciclette e chissà cos’altro. Oppure il volontario che pulisce il pavimento in una cucina in una casa si suppone di sostegno e ha un’aria assorta, triste, certo non allegra.
Un’altra foto, in bianco e nero, inquadra una ragazza in piedi sul retro di una casa povera e malmessa. Lei guarda, forse attonita, la serratura che qualcuno ha sfondato. Un’effrazione? Cos’è accaduto? Una scena che potremmo supporre cinematografica e al contempo quotidiana. Wall riesce a farci provare solidarietà verso la ragazza, verso i suoi sentimenti. Qualunque dramma lei stia sta vivendo e che non sapremo mai perché l’artista suggerisce e lascia l’interrogativo alla nostra sensibilità.
Mast sta per Manifattura di arti, sperimentazione e tecnologia. A questa url trovate il sito della mostra di Bologna:
https://www.mast.org/jeff-wall-living-working-surviving
A questa url trovate il sito della mostra alle Gallerie d’Italia di Torino:
https://gallerieditalia.com/it/torino/mostre-e-iniziative/mostre/2025/10/09/jeff-wall-photographs-in-mostra-a-torino/#
