Vittoria Franco: “La Shoah un Male mai esistito prima. E oggi le democrazie sono a rischio”

La filosofa parla del suo nuovo saggio “Il Male del Novecento” e delle destre estreme al potere. Su Gaza: “Hamas ha compiuto un pogrom, Israele sta compiendo una carneficina”. Propone “antidoti”

Vittoria Franco: “La Shoah un Male mai esistito prima. E oggi le democrazie sono a rischio”
Hitler a una celebrazione nazista. Foto Wikimedia Commons
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Stefano Miliani Modifica articolo

15 Gennaio 2025 - 10.57


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La Shoah non è l’unico genocidio ma è stato un male mai esistito prima”. Lo spiega in sintesi in questa intervista in vista della Giornata della Memoria del 27 gennaio Vittoria Franco, filosofa, politica, parlando del suo saggio, notevole, “Il Male del Novecento” (Castelvecchi, 224 pagine, 20,90 euro). In quelle pagine, dense e chiare, affronta interrogativi fondanti della nostra civiltà: su come sia potuto accadere l’Olocausto, su come in Germania si sia esercitato un “dominio totale dell’uomo sull’uomo”, su quali rischi corriamo oggi.

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Vittoria Franco e la copertina del suo saggio “Il Male del Novecento”

Sulla scorta di pensatrici come Hannah Arendt, Primo Levi e altri, la studiosa nata nel 1949 in Calabria, già ricercatrice e docente di filosofia alla Normale di Pisa, già senatrice dei Ds, dell’Ulivo e del Pd, ha scritto un libro profondo e fitto di interrogativi, anzi tutto sulla radicalità del male nazista.
Pubblicato nell’autunno del 2024, purtroppo il saggio si inserisce alla perfezione in questo periodo. “Purtroppo” non per mancanze del libro bensì per ragioni opposte: per la sua pregnanza, perché le pagine di Vittoria Franco obbligano a riflettere su questi tempi dove le destre estreme hanno il potere o possono conquistarlo, a cosa può accadere quando talvolta hanno rimandi perfino al nazismo e possono minare le basi delle democrazie liberali in crisi profonda. “Il Male del Novecento” è una sollecitazione a non dare per scontato che libertà civili e democrazie reggeranno l’onda d’urto, almeno così come le abbiamo conosciute in Occidente negli ultimi decenni.

Franco, lei scrive che la Shoah è il male assoluto al di fuori dell’etica, neanche definibile come immorale, che quel male del Novecento non è enigmatico, misterioso, imperscrutabile mentre è cosa diversa definirlo indicibile. Cos’è e lo si può rappresentare?
La mia tesi è che la Shoah sia qualcosa di nuovo nel mondo delle relazioni umane, un male mai esistito prima. Certo, c’erano stati il genocidio degli armeni e altri genocidi nei paesi colonizzati dagli europei, sono una forma di male, ma questo è un male nuovo.

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Hitler da solo e con Mussolini. Foto Wikimedia Commons

Perché?
Lo descrivono bene coloro che se ne sono occupati. Il male è stato un tema della filosofia e della teologia molto antico, ma dall’800 e 900 non se n’era più occupata. Nel 1949 Hannah Arendt già coglieva la novità della Shoah che definisce male assoluto e poi parlerà di banalità del male con il processo del 1961 all’ex SS Adolf Eichmann. Il vecchio linguaggio non era più in grado di dire quello che era successo. Per Primo Levi, che è anche un pensatore e riflette sulle conseguenze filosofiche, la lingua manca di parole per esprimere questa offesa: non c’è solo l’uccisione, c’è il dominio totale sull’uomo, la sua demolizione, questa è la novità, è un male di una nuova specie.

Binario 21, il memoriale della Shoah alla stazione di Milano. Foto Wikimedia Commons

Come lei riporta nel libro, secondo Hannah Arendt il soffocamento della pietà istintiva oltre che della coscienza ha trasformato normali tedeschi in criminali di massa, anche tramite la distanza che pone la burocrazia. Se persone normalissime possono diventare criminali legittimati dallo Stato ciò significa che può riaccadere?
È già ricapitato con le guerre nell’ex Jugoslavia negli anni ’90, quanto sta succedendo in Medio oriente in forma diversa dimostra che sicuramente può ricapitare, ma la Shoah resta un discrimine perché esercitato da un biopotere estremo: la specificità è che voleva trasformare la natura umana, demolire l’uomo ancora prima di ucciderlo. La figura emblematica è quello che loro chiamano “musulmano”: non ha che fare con la religione, ma con persone che non avevano la capacità di reagire. Vladimir Jankélévitch, filosofo francese di una famiglia ebrea russa emigrata in Francia durante persecuzioni zariste contro gli ebrei, dice che quel potere voleva distruggere la “ominità”, voleva rendere l’uomo superfluo come ha scritto la Arendt.

Parlando di genocidio non si può trascurare quanto succede ora nella Striscia di Gaza. Lei come lo definisce?
Partiamo dal 7 ottobre 2023: quel pogrom, quell’atto di terrorismo di Hamas contro ebrei inermi, è un fatto enorme, inqualificabile. Israele ha reagito ma con una reazione comprensibile fino a un certo punto, eccessiva: l’obiettivo di distruggere non solo Hamas ma anche il popolo palestinese con innocenti come i bambini che muoiono di freddo grida vendetta e la responsabilità maggiore è di Israele. Per la scrittrice Edith Bruck non si può usare la parola “genocidio”. Non usiamola, può essere una questione lessicale, chiamiamola carneficina ma lì accade lo sterminio di un popolo, siamo al di fuori anche delle regole della guerra, Israele viola ogni diritto internazionale. Tanti ebrei prendono le distanze da Netanyahu.

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La politica distruttiva dell’attuale governo israeliano di Netanyahu a Gaza inoltre non è benzina gettata sul fuoco dell’antisemitismo già crescente?
Anna Foa, storica, ha scritto un libro bellissimo, “Il suicidio di Israele”, e non è possibile equivocarla, è ebrea: ha ragione, quanto accade a Gaza rischia essere il suicidio di Israele, è la rinuncia ai valori dell’ebraismo.

Bambini in un lager nazista. Foto Wikimedia Commons

Quella politica non mette in discussione anche la democrazia?
Certo. Netanyahu è stato eletto democraticamente ma è assimilabile a uno stato autoritario. Di sicuro è un rischio per la democrazia e si immette nell’onda di messa in discussione delle democrazie liberali in tutto il mondo. Lo vediamo negli Stati Uniti, con la “tech politics”, nel connubio tra potere politico, economico e mediatico simboleggiato dalla copresidenza tra Trump e Musk.

In Germania può vincere o entrare nel governo un partito come la Afd da più media definito “neonazista”. In Austria il premier di estrema destra designato per un nuovo esecutivo ha usato per sé il termine “Volkskanzler”, cancelliere del popolo, come si definì Hitler. Quel “male” di cui parla non è, purtroppo, di estrema attualità?
Come in Francia, le grandi democrazie rischiano di andare alla destra estrema. Quel male non si ripresenterà nella stessa forma, lì era stato creato un sistema per mettere in pratica un genocidio; purtroppo l’attualità del libro è che un’onda di destra estrema, dichiaratamente filo nazista, rischia di creare un mondo con l’uso delle nuove tecnologie. Il sistema di cyber sicurezza della società di Musk è anche di spionaggio e diventa un potere di controllo. Queste nuove tecnologie in connubio con il potere politico possono creare un altro male sociale, un dominio più velato e indiretto, meno impattante sui corpi. Nei lager si violava la dignità del corpo, con le nuove tecnologie non c’è più la spoliazione visibile nel corpo ma della loro dignità, del loro diritto di vivere liberamente. Il male si può presentare in forme nuove e forse meno visibili. La radice del male può essere individuata nel trascurare il bene delle individualità umane. Gli esseri umani, hanno bisogno del riconoscimento alla loro dignità perché lì c’è il limite di cosa si può fare ad altri e siamo sempre lì lì per superarlo.

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Come si risponde?
Io individuo alcuni antidoti. Uno è la memoria di chi ha vissuto il male sulla sua pelle: raccontare è importantissimo. Cito Primo Levi, penso a Liliana Segre, tanti ricordano, vanno nelle scuole. Un altro elemento è l’amicizia nel senso pubblico che definisco disponibilità a condividere il mondo con altri nella loro diversità, accettandola, e quello che chiamo “etos democratico”, dove si rispetta la libertà dell’individuo e si crea uguaglianza. Levi dice di essere riuscito a sopravvivere grazie all’amicizia disinteressata di Lorenzo, il muratore (nel lager gli dava pezzi di pane senza nulla in cambio, ndr). Questa secondo me è la parte “costruens” del libro per costruire un “etos democratico”: certo, renderlo forte non è facile, il momento è molto difficile, richiede molta responsabilità verso il bene comune che va rinsaldata con lo spirito di amicizia pubblica di cui dicevo. È impresa difficile ma necessaria e ci vuole un salto di qualità anche nella politica democratica: in generale ancora non ha dimostrato di essere consapevole di queste innovazioni né di come affrontarle.

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