A chi ha una certa età o conosce la musica degli anni ’60 e 70 verrà da pensare a “questa faccia da straniero” dalla canzone di Georges Moustaki, ascoltando il filo conduttore della Biennale d’arte di Venezia del 2024: si intitolerà “Stranieri ovunque – Foreigners Everywhere”, convocherà molti artisti e artiste da America Latina, Africa, Asia, la metà saranno donne, avrà artisti queer, avrà artisti “indigeni” (anche se volendo siamo tutti indigeni), presterà attenzione anche a realtà povere e, inevitabilmente, indurrà a pensare agli innumerevoli migranti in fuga da distruzioni, massacri, guerre, miseria. Da quanto si intende non ci saranno star, il curatore è Adriano Perosa.
A proposito, chi è Perosa? Brasiliano, è il direttore artistico del Masp, il Museo d’arte di San Paolo progettato dall’architetta di origine italiana Lina Bo Bardi: istituto privato, fondato nel 1949, ha una collezione che da capolavori italiani del ‘300, ‘400, ‘500 arriva a Matisse, Chagall, Picasso, Warhol e altri maestri del ‘900. Una curiosità: sull’anno di nascita di Perosa la nota biografica della Biennale sorvola, a riprova che è un vezzo al di là dei generi.
“Si parlerà di artisti stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, émigrés, esiliati e rifugiati, di coloro che si sono spostati tra il Sud e il Nord del mondo”, dichiara il curatore. Gli artisti/e saranno circa duecento. Sono le linee programmatiche tracciate per la 60esima mostra da Perosa con l’avallo del presidente dell’ente Roberto Cicutto, arrivato al penultimo anno di conduzione salvo rinnovi.
Le date saranno dal 20 aprile al 24 novembre 2024 (co pre-apertura dal 17 al 19 aprile), i luoghi saranno come sempre i Giardini, l’Arsenale e vari siti di Venezia. A fianco dell’esposizione tramite il bando Biennale College Arte sarà in funzione da questo autunno un laboratorio per artiste/i emergenti under 30.
Pedrosa ha svelato in conferenza stampa di aver ricavato il titolo da sculture al neon con le parole “Stranieri Ovunque” del collettivo Claire Fontaine, fondato da James Thornhill e Fulvia Carnevale nel 2004 a Parigi e che dal 2017 vive e lavora a Palermo: il nome è ispirato all’orinatoio di Marcel Duchamp “Fontaine” e alla cartoleria francese Clairefontaine e aveva ripreso quel riferimento agli stranieri ovunque da un omonimo collettivo torinese che nei primi anni Duemila combatteva il razzismo e la xenofobia.
La Biennale conferma quindi il percorso delle ultime edizioni: guarda sempre oltre l’Occidente tanto è vero che Pedrosa ha esplicitamente richiamato la mostra d’arte del 2022 di Cecilia Alemani e la Biennale di architettura curata da Lesley Lokko tuttora in corso. E lungo questa scia Pedrosa promette la parità di genere tra artiste/i.
Perosa: dall’artista queer all’outsider, una scelta tra chi è ai margini
Il curatore sintetizza così la sua scelta: “Innanzi tutto ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, nel profondo si è sempre veramente stranieri. La mostra si concentrerà su ulteriori soggetti connessi: l’artista queer, spesso perseguitato o messo al bando; l’artista outsider, ai margini del mondo dell’arte, proprio come l’autodidatta o il cosiddetto artista folk; l’artista indigeno, spesso trattato come uno straniero nella propria terra”.
Sarà presente, l’Italia? “Una sezione speciale sarà dedicata alla diaspora degli artisti italiani nel mondo nel XX secolo, a quegli italiani che hanno costruito le loro vite e carriere professionali in Africa, Asia, America Latina, nel resto d’Europa, integrandosi e radicandosi con le culture locali”.
“Ci sono implicazioni politiche nella mostra ma ci saranno artisti che si occupano anche di questioni più formali: ci sarà l’astrattismo, estremamente importante anche se fatto da indigeni o queer”, rivendica Pedrosa. È dunque esplicito l’indirizzo politico: si apre al mondo, ai generi, a ogni orientamento sessuale, alle zone povere, senza solleticare nazionalismi.
Come prenderà la mostra del 2024, la destra di governo?
Se vi stimola un interrogativo sul futuro, questa impostazione potrebbe essere l’ultima del genere: il governo attuale, e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano in testa, manifestano con forza la volontà di dare sempre più spazio alla cultura di destra che ritengono sia stata messa ai margini dalla presunta “egemonia culturale” della sinistra quando, soprattutto nelle televisioni, quell’egemonia non era certo della sinistra.
Vero è che la Biennale è stata più vicina a sensibilità, se possiamo dirlo, internazionaliste se non di sinistra. Ai governi di destra precedenti metterci le mani interessava poco, perché non sposta molti voti. Invece Sangiuliano ritiene suo dovere imporre un cambio di rotta culturale, per cui sarebbe ingenuo immaginare in futuro un percorso sgradito alle ideologie affini all’attuale esecutivo. Se la destra di governo potrà influenzare la nomina del successore di Cicutto, eserciterà quel potere.
Quanto all’edizione del 2024, chissà se il richiamo agli artisti italiani emigrati all’estero appagherà le spinte dell’attuale Destra-destra: quando si tratta di elezioni politiche i voti degli abitanti all’estero anche solo d’origine italiana fanno molta gola.
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