In Africa la popolazione aumenta a gran ritmo, dal sud del Mediterraneo migliaia di persone scappano per costruirsi una vita dignitosa in Europa o per non morire, al contempo l’Africa è ricca di tante culture in effervescenza, in crescita, e qui si gioca buona parte del futuro del pianeta. É stato quindi lungimirante la Biennale di Venezia ad affidare la 18esima mostra di architettura 2023, in cartellone da sabato 20 maggio a domenica 26 novembre ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera, a Lesley Lokko, scrittrice e architetto scozzese e ghanese. La quale ha intitolato la sua mostra “The Laboratory of the Future” con l’intento di disegnare, o almeno immaginare, un futuro migliore e punta l’obiettivo sulla vitalità di tanti studi e ricercatori africani che in Italia pochissimi conoscono.
«The Laboratory of the Future comprende 89 partecipanti, di cui oltre la metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana. L’equilibrio di genere è paritario e l’età media dei partecipanti è di 43 anni, mentre scende a 37 nella sezione Progetti Speciali della curatrice», recita una nota dell’ente veneziano. Se poi aggiungiamo che il cda della Biennale presieduto da Roberto Cicutto su proposta di Lesley Lokko ha assegnato il Leone d’oro alla carriera a Demas Nwoko, artista, designer e architetto nigeriano, il discorso su quanto accade nel continente si fa ancora più completo.
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Cosa pensano di un simile sguardo due esperti dopo aver letto gli intenti della mostra? I due sono Francesca Giommi, ricercatrice in letterature e culture dei paesi di lingua inglese, scrittrice, saggista, africanista, collaboratrice del Manifesto, e Matias Mesquita, presidente della Casa de Angola in Italia, direttore del Kibaka Africa Festival del Cinema africano a Firenze. Giusto per dare un quadro più circostanziato, abbiamo invitato Giommi e Mesquita a intervenire dopo una loro conferenza sulla Nigeria tenuta a febbraio per il Black History Month di Firenze.
Francesca Giommi: nonostante i malanni l’Africa può diventare il futuro
«Che una manifestazione di primo piano a livello mondiale qual è la Biennale di Venezia punti nell’edizione 2023 a cura di Lesley Lokko sull’Africa e sulle sue diaspore ha un’importanza fondamentale nel rivolgere i riflettori su un continente spesso narrato in maniera distorta, se non quando marginalizzato o ignorato nei discorsi culturali globali, inserendolo in un circuito fluido di interscambio e contaminazioni – appunta Francesca Giommi -. Già dal titolo, The “Laboratory of the Future”, l’abbinamento non potrebbe essere più calzante, poiché l’Africa, nonostante i malanni cronici, ha tutte le carte in regola per diventare il continente del futuro, con una rapida crescita demografica ed economica e un ingente patrimonio di risorse umane e naturali ancora da esplorare e impiegare al meglio (e possibilmente non più solo sfruttare dall’esterno).
Se la domanda che accompagnerà la mostra sarà cosa significa essere “un agente di cambiamento”, il continente africano e i suoi artisti hanno da sempre fatto del cambiamento una modalità di esistenza e resistenza, relazionandosi in maniera ininterrotta con altri mondi e culture sulle rotte di quello che Paul Gilroy definisce l’“Atlantico nero” (e oggi, mestamente, anche su quelle mediterranee)».
Matias Mesquita: in Africa si costruisce troppo con cemento e vetro
«Il primo aspetto che mi piace di questa Biennale è che si pone in contrasto verso il cambiamento climatico perché dagli anni ’60 a oggi in Africa si costruisce con tanto cemento armato – dice Matias Mesquita al telefono – Abbiamo palazzi in vetro e cemento armato, si usa tanto l’aria condizionata in uno stile molto occidentale. Ma l’Europa ha nove mesi di temperature ibride, nei paesi africani i mesi di freddo sono al massimo tre. Avendo invitato architetti africani la Biennale pone la questione sul modo di costruire ambienti con un minor impatto ambientale, senza tanto cemento armato e vetro, e lancia una sfida al mondo con gli studi di giovani architetti. Penso che questa mostra possa aiutarci a capire. Ricordiamoci che in occidente abbiamo la diaspora africana, abbiamo afro-europei, persone di origine africana che abbracciano il mondo, che sono consapevoli del problema del clima e dei problemi africani. Gli afro-europei hanno una visione più consapevole dei loro genitori del mondo africano».
Un esempio? «Sono consapevoli per esempio che in Africa circola troppa plastica, che si può fare la raccolta differenziata, questi afro-europei sono agenti del cambiamento e sono loro a portare una nuova sfida».
Francesca Giommi: un’occasione in sintonia con la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie
«Intendendo le mostre come narrazioni che si evolvono nello spazio, il cui uditorio e il cui impatto sono percepiti ben oltre le pareti e gli spazi fisici che le contengono – riprende a dire Francesca Giommi – questa Biennale sarà una grande occasione di correggere quella voce dominante in architettura che Lokko definisce “storicamente singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità […] Non sbagliata, ma incompleta”. È in perfetta corrispondenza e analogia con quanto la pluripremiata scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie afferma ne Il pericolo di un’unica storia, mettendo in guardia dalle distorsioni e dimenticanze di narrazioni egemoniche “centralizzate”, come quelle scaturite sull’Africa a partire dall’esperienza coloniale: “Raccontare un’unica storia crea stereotipi – dice Adichie – E il problema degli stereotipi non è tanto che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano una storia in un’unica storia […] Quando rifiutiamo l’unica storia, quando ci rendiamo conto che non c’è mai un’unica storia per nessun luogo, riconquistiamo una sorta di paradiso”».
Matias Mesquita: gli europei prendono le materie prime
«Per l’Africa la globalizzazione è stata negativa, lo vediamo con l’immigrazione verso l’Europa – osserva ancora Matias Mesquita – In Africa ci sono la siccità per la mancanza di pioggia, ci sono guerre finanziate anche per interessi europei. Adesso ci sono i cinesi che costruiscono strade, ospedali, infrastrutture mentre la storia dimostra che gli europei hanno soprattutto preso e prendono materie prime, dal legno ai diamanti. Se ne parla poco». E sulla mostra? «Vedere gli africani come protagonisti è positivo. Siamo nell’era digitale, credo che tanti ragazzi vedranno le immagini della Biennale sui social, è un cambiamento. Quanto a me vado sempre alla Biennale di architettura, ho una passione per questa disciplina, per me gli architetti sono sognatori, di una città non mi fanno solo vedere la città, spiegano il tipo di costruzione, gli edifici, danno una storia in più».