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di Elena La Verde
Bistrattata, mortificata e data più volte per morente. Quando si pensa alla radio, si immagina un medium obsoleto, vecchio come la notte dei tempi, che non viene più ascoltato. È questo lo stereotipo più diffuso nell’immaginario comune. È un cliché che si rileva sbagliato, quando poi ci si confronta con i dati forniti, proprio in questi giorni, dall’ultimo resoconto del Tavolo Editori Radio (Ter) – che si occupa della rilevazione degli indici degli ascolti radiofonici in Italia. Secondo quanto riportato, nel terzo trimestre del 2020, in un periodo compreso fra luglio e settembre, la radio ha registrato una quota di 34 milioni di ascolti. È una sorta di record, si può pensare.
Dalla lettura del dato, si può credere che gli ascolti della radio abbiano avuto una forte impennata nell’ultimo periodo, arrivando a toccare cifre vertiginose. Ma in realtà, non è così e si rischierebbe di darne un’interpretazione superficiale e decontestualizzata. “Sono dati che si devono saper leggere e che devono essere messi in prospettiva”, mi spiega a telefono Tiziano Bonini, professore in media studies, all’Università di Siena e che si occupa di radio e di social media, e più in generale, di cultura digitale e pubblici connessi.
Quando si parla di ascolti radiofonici, bisogna fare necessariamente riferimento anche alle modalità di consumo della radio: “Stiamo vivendo un momento storico particolare. Oggi molte persone passano il loro tempo a casa e l’ascolto domestico è diverso da quello in mobilità”. Prima dell’inizio della pandemia, molte cose erano diverse: le persone vivevano maggiormente fuori casa, mangiavano fuori, lavoravano fuori, si divertivano e si riunivano fuori. Si muovevano e, mentre si spostavano da un luogo ad un altro con la propria auto, ascoltavano la radio. Con il lockdown, invece, i viaggi sono diminuiti e la mobilità è stata notevolmente ridotta: le persone hanno dovuto riscoprire lo spazio domestico, non solo come spazio di confort e relax, ma anche come nuovo luogo di lavoro, cambiando così le proprie abitudini. “Non possiamo parlare di un unico pubblico che a casa cambia le proprie abitudini. C’è chi in casa cerca di più l’informazione e l’intrattenimento parlato, perché ad esempio svolge un lavoro di tipo intellettuale, che gli permette di dedicare più attenzione all’ascolto, ma c’è anche chi fa lavori manuali e ascolta radio di flusso, una radio di sottofondo musicale, una radio disimpegnata, che serve a dare ritmo alle proprie azioni svolte in casa”.
L’aumento del consumo in casa ha quindi compensato la riduzione del consumo fuori casa e ha fatto in modo che non si registrasse un brusco calo negli ascolti. Ad oggi, l’ascolto della radio tiene. Sarà per la sua natura o per la sua storia, nella quale è una costante, ritornare nei periodi di stasi e di rallentamento, in momenti difficili e bui come questo che stiamo vivendo: “La radio ha un ruolo importante nei momenti di crisi, perché fa informazione e ad oggi è il medium ritenuto più affidabile”. È proprio questo il punto: la radio arriva perché si conferma una fonte di informazioni attendibile e autorevole. È diversa dalla sua “sorella” poco più giovane, la televisione, che non è che nient’altro che una “radio con le immagini”. In Tv il giornalismo spesso si confonde con lo spettacolo e l’intrattenimento: “L’informazione in televisione tante volte passa attraverso formati spettacolarizzati, sensazionalisti, urlati. In radio tutto ciò non avviene”.
Nei momenti di crisi, dunque, persino quando si vuole spegnere tutto, alla fine si accende la radio.