«Quanti contagi si sono avuti l’estate scorsa con spettacoli per 200 persone al chiuso e mille all’aperto?». A fronte di qualche centinaio di migliaia di spettatori, giusto per ricordarlo. «Uno. Sono i dati forniti dalle Asl direttamente, ci hanno detto li abbiamo manipolati ma è la verità, i teatri e i luoghi di spettacolo erano luoghi sicuri». La domanda l’ha posta il giornalista del Sole 24Ore Francesco Prisco, la risposta è arrivata dal presidente dell’Agis – l’Associazione generale italiana dello spettacolo Carlo Fontana durante un incontro online sullo stato e le prospettive dello spettacolo e della musica in mezzo alla pandemia. L’appuntamento fissato per la mattina di venerdì 29 porta la firma del presidente di Assomusica Vincenzo Spera, ha visto a confronto addetti ai lavori e un cospicuo drappello di parlamentari che si occupano del settore e sanno di cosa si parla. Lunghetto, il titolo, ma va su faccende concrete pur se complesse: “Il Rilancio delle industrie dello spettacolo passa dal Recovery Fund – Eu Next Generation: proposte per la ripartenza dopo la pandemia”.
Live in Italia -97% nel 2020
Per rendersi conto dello scenario devastante in cui ci muoviamo, vale riprendere alcuni dati rilasciati dall’Associazione dei produttori e organizzatori di spettacoli dal vivo: «Secondo quanto confermato da un recente studio condotto da Ernst & Young, il volume d’affari complessivo delle industrie culturali e creative nell’UE si è ridotto a 444 miliardi nel 2020, registrando un netto calo di 199 miliardi dal 2019. Il settore dei live in Italia ha registrato, nel 2020, una perdita di fatturato del 97%, con una perdita attualmente stimata di 700 milioni di euro. A questo danno si aggiungono le perdite legate all’indotto, che Assomusica stima in oltre 1,5 miliardi di euro». Il che dimostra quanto il lavoro sia essenziale per la sopravvivenza materiale di centinaia di migliaia di persone.
Defiscalizzare le spese culturali, chiudere con l’assistenzialismo
Sul concreto: poco tempo fa la presidente del Museo Maxxi Giovanna Melandri ha proposto di defiscalizzare le spese per la cultura intendendo anche i biglietti per musica, teatro, musei e così via e la proposta, non sarà inutile dirlo, trova riscontri favorevoli tra gli addetti. Quanto al recovery fund, per Fontana «potrebbe essere l’occasione per ridefinire il comparto e chiudere con la prassi purtroppo consueta dell’assistenzialismo anche verso realtà di poco valore culturale e che non stanno sul mercato, credo alla funzione pubblica del lavoro culturale ma deve incontrare il pubblico». «Per me le spese in cultura andrebbero detratte come per la salute», rimarca Lucia Borgonzoni, senatrice della Lega nella Commissione Istruzione di Palazzo Madama, già sottosegretario ai Beni culturali nel primo governo Conte giallo-verde. La senatrice aggiunge che come altri vorrebbe una Direzione generale specifica per la musica nel Mibact.
Mazza: niente grandi tour dal 2022
Nel frattempo sfata illusioni sul 2021 e rileva un fenomeno allarmante in corso Enzo Mazza, Ceo (in sostanza amministratore delegato) della Fimi, la Federazione industria musicale italiana altrimenti intesa come la “Confindustria dei discografici”: «Il 2021 sarà peggiore del 2020 per la nostra industria perché l’impatto del mancato versamento dei diritti d’autore dell’anno passato si vedrà quest’anno. Lo spettacolo dal vivo non riprenderà per tempo, i grandi tour internazionali non partiranno prima del 2022 e l’aspetto delle professionalità è fondamentale: in molti Paesi e Italia molti operatori stanno lasciando il settore, stiamo perdendo professionalità nello spettacolo dal vivo che non si ricostruiscono in tempi brevi, troveremo una filiera devastata per cui bisogna sostenere queste persone».
Pitteri: sbagliata la Netflix della cultura
Emerge un elemento costante nella discussione: oltre a cibare l’anima la cultura, ancor prima, nutre la vita stessa, permette a chi ci lavora di portare la pagnotta a casa. E lo streaming serve ma non è la panacea: per Daniele Pitteri, amministratore delegato della Fondazione Musica per Roma, «è il momento di fare alleanze. Se ognuno si fa la sua piattaforma faremo come le radio libere anni ’70 frammentando l’offerta e non rendendo sostenibili le piattaforme. Aggiungo quanto ho già detto: la “Netflix della cultura” è sbagliata nella logica perché parte da chi distribuisce, non da chi produce». «Non nascondo che questo periodo di pandemia ha creato e aumentato le diversità tra i vari settori culturali. Ricordo la determinazione dell’onorevole Silvia Costa – sostiene nella nota stampa il presidente di Assomusica Spera – grazie alla quale la nuova programmazione Europa Creativa consente di accedere ai finanziamenti anche alla musica, al pari del cinema, elemento che inizialmente non era previsto grazie a un lavoro preparatorio attraverso iniziative da noi portate avanti negli anni precedenti».
Di Giorgi: per i teatri facciamo caso per caso come per le scuole
Sul come ripartire in tempi prevedibili lo ipotizza Rosa Maria Di Giorgi, deputata Pd nella commissione cultura che da anni si occupa di spettacolo dal vivo e audiovisivo e relatrice della legge sullo spettacolo nella passata legislatura. «Dobbiamo pensare in prospettiva – esorta – C’è bisogno anche di atti di coraggio, non c’è il pericolo zero ma se questo è avremmo dovuto tenere anche tutti i ragazzi a casa e non a scuola. Fatte salve tutte le regole e precauzioni già presenti nel protocollo dell’Agis serve prendere decisioni. Torno all’esperienza della scuola dove con coraggio qualcosa si è fatto: seguendo un’indicazione nazionale i tavoli provinciali decidono luogo per luogo a seconda del tipo di scuola». In breve, suggerisce la deputata, si potrebbe seguire lo stesso schema per i teatri, «bisognerà muoversi anche in questa prospettiva». Con le regole di massima che valgono e devono valere per tutti, ricorda. Sanremo compresa, chiosa.