Sanremo amarcord, 1988 Massimo Ranieri trionfa con "Perdere l'amore" | Giornale dello Spettacolo
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Sanremo amarcord, 1988 Massimo Ranieri trionfa con "Perdere l'amore"

Un brano entrato nella storia della musica. La Mannoia vince il premio della Critica, "Andamento lento" quello delle discoteche. Biscardi scatena polemiche col suo Processo al Festival, Tomba lo fa interrompere col suo slalom

Sanremo amarcord, 1988 Massimo Ranieri trionfa con "Perdere l'amore"
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Francesco Troncarelli Modifica articolo

2 Febbraio 2018 - 14.39


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Grandi canzoni, grandi interpreti, grandi polemiche, grande spettacolo. Fu un Sanremo tutto da seguire quello che esattamente 30 anni fa si celebrò in pompa magna sul palcoscenico del teatro Ariston di Sanremo. Uno dei pi riusciti di quegli edonistici anni 80 tutte spalline esagerate e capigliature cotonate che andavano di moda in quei tempi.

Organizzato dal sempiterno Ravera, aveva una schiera di presentatori al suo servizio, Miguel Bosè e Gabriella Carlucci sul palco, Carlo Massarini in collegamento dal Palarock con i vari ospiti e Kay Sandwick, Lara Saint Paul, Memo Remigi e Valerio Merola per i contributi dal Casinò.

Un numero eccessivo ma necessario perché gli artisti che andarono ad esibirsi nel vero e proprio spettacolo a margine del festival, furono tantissimi. Nomi importanti della scena internazionale come gli ex Beatles Paul McCartney e George Harrison, che rincontrarono dopo anni l’amico e compagno di serate da sconosciuti musicisti ad Amburgo Mino Reitano, i New Order, Bon Jovi, Art Garfunkel, Joe Coker, Terence Trent D’Arby, Chris Rea, Suzanne Vega, Rick Astely, per ricordarne qualcuno, artisti di grande spessore che da soli costituivano un evento nell’evento festivaliero.  

C’era poi una sorta di Dopofestival particolare con Aldo Biscardi che portò in riviera la sua acclamata trasmissione reintitolandola “Processo al Festival”,  che verrà ricordato per l’atmosfera altamente rissosa che lo contraddistingueva, tanto che alcuni cantanti come Barbarossa e l’attore Francesco Nuti versione chansonier con la sua “Sarà per te” decisero di abbandonare il programma in diretta, in polemica con il giornalista che non riusciva a tenere a bada i suoi colleghi scatenati nel punzecchiare i cantanti e proferire giudizi sulla validità delle canzoni. Mino Reitano che portava “Italia” di Umberto Balsamo, pezzo che in seguito sarà accolto molto bene dai nostri connazionali all’estero, rimase impavidamente e ingenuamente e venne massacrato.

In questo contesto di “tutto quanto fa spettacolo” applicato a Sanremo, c’è da segnalare anche il mezzo ammutinamento del pubblico del Palarock che chiese di poter seguire in diretta la seconda manche dello slalom speciale dei Giochi olimpici invernali di Calgary,  richiesta insolita ma comunque accettata con la messa in onda della gara vinta poi da Alberto Tomba e la conseguente interruzione della serata finale del festival.  

Sì, perché il festival intanto andava avanti con 26 big ed altrettante canzoni che dovevano essere votate tramite le schedine del Totip come gli anni precedenti. Molte da dimenticare (“Io” della Bertè, “Nella valle dei Timbales” dei Figli di Bubba” ,“Nascerà Gesù” dei Ricchi e Poveri ad esempio), molte altre belle, alcune veramente belle. Pezzi come i melodici “Mi manchi” del veterano Fausto Leali e “Inevitabile follia” del bravo e professionale Raf, il delicato “Il mondo avrà una grande anima” dell’ex enfant prodige Ron, l’accattivante “Quando nasce un amore” della sensuale Anna Oxa, il coinvolgente “Emozioni” di Toto Cotugno, il drammatico “L’amore rubato” di Luca Barbarossa sulla storia di una violenza, argomento purtroppo attuale allora come oggi.

Molti i futuri “saranno famosi” al debutto nella categoria Nuove proposte: Biagio Antonacci, Bungaro, Mietta, Stefano Palatresi con Paola Turci e Mariella Nava alla loro seconda volta sempre fra i giovani.

A vincere con il brano “Perdere l’amore” fu Massimo Ranieri che con 7 milioni e 327mila 347 voti  distanziò di oltre due milioni e mezzo di voti il favorito ed eterno secondo Toto Cotugno, Fiorella Mannoia invece vinse il premio della critica con “Le notti di maggio”, mentre il primato delle vendite dei singoli fu appannaggio di Tullio De Piscopo con “Andamento lento”, pezzo partito in sordina nel corso del festival, ma che divenne un tormentone nelle discoteche e nelle radio fino all’estate per il suo ritmo accattivante.

Massimo Ranieri

Particolare la storia di “Perdere l’amore”. Il brano composto dall’ex tastierista dei Semiramis di Michele Zarrillo, Giampiero Artegiani e dal navigato Marcello Marrocchi, era stato inciso da Gianni Nazzaro ma il provino non venne accettato dalla commissione selezionatrice del festival 1987. La casa discografica Wea, proprose allora all’ex della Pfm Lucio Fabbri di riarrangiarlo per affidarlo a Massimo Ranieri, da tempo fuori dal giro perché impegnato in teatro con successo.

Fabbri costruisce così una versione orchestrale raffinata, ispirata agli ultimi lavori di Barbra Streisand e la propone a Ranieri, che dopo averci riflettuto a lungo accetta di presentarla al Festival.

Sono quattordici anni che l’ex scugnizzo che cantava per i ristornati napoletani per guadagnarsi la giornata manca dalla scena musicale, venti da Sanremo, perché ha intrapreso la carriera di attore teatrale con testi impegnati ed anche più leggeri di grande successo. E’ fresco dal trionfo di “Rinaldo in campo”, commedia musicale di Garinei e Giovannini interpretata anni prima da Modugno e adesso ha l’opportunità di ritornare a esibirsi. “Perdere l’amore” è nelle sue corde, è la canzone giusta per tornare al suo primo amore, in questo pezzo sente riaffiorare antiche emozioni, quel testo poi che sa raccontare la rabbia, il dolore e il vuoto che accompagnano la fine di una storia quando non si è più giovani, lo convince e lo sente suo: “Perdere l’amore, quando si fa sera, quando fra i capelli un po’ di argento li colora, rischi di impazzire, può scoppiarti il cuore, perdere una donna e avere voglia di morire…”.

Massimo s’impossessa così della canzone regalando al pubblico una grande interpretazione drammatica, ricca di patos e soprattutto dal suo talento naturale. Il brano infatti si sviluppa in un crescendo in cui parole, musica e voce viaggiano in una sintonia perfetta, con quell’acuto finale che da solo è in grado di vincere il festival. E lui lo vince a mani basse.

Era il 1988, mai come quella volta la canzone vincitrice di Sanremo riscosse consensi unanimi tra addetti ai lavori e la vasta platea che da sempre segue il festival entrando di diritto fra i classici della musica italiana e diventando conseguentemente la “signature song” di Ranieri, cioè la canzone che lo contraddistingue, il cavallo di battaglia, come “My Way” per Frank Sinatra o “Azzurro” per Celentano. E ancora oggi, trent’anni dopo quella vittoria,  con quella introduzione di cinque note al pianoforte che sembra fermare tutti gli orologi del mondo suonata da Sergio Conforti, alias Rocco Tanica e lo struggente assolo di sax eseguito da Paolo Panigada alias Feiez sempre degli Elio e Le  Storie Tese, “Perdere l’amore” è un brano che emoziona e travolge, che scuote e coinvolge e che merita sempre di essere riascoltato. Eccolo.

 

 

 
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