Woody Guthrie, il sogno dell'altra America che continua | Giornale dello Spettacolo
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Woody Guthrie, il sogno dell'altra America che continua

In un sontuoso cofanetto escono per la Bear Family i dischi tributo del 1968 e del 1970: tre cd, due libri. Per celebrare il menestrello che con una chitarra "ammazzava" ogni forma di fascismo

Woody Guthrie, il sogno dell'altra America che continua
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21 Ottobre 2017 - 14.36


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di Rock Reynolds

D’accordo, il conferimento del Nobel per la Letteratura a sua maestà Bob Dylan lo ha
fatto entrare di diritto nell’Olimpo poetico internazionale, ma se dovessimo scegliere
un solo nome nella storia della musica moderna che incarni più di ogni altro la figura
del cantastorie itinerante, del menestrello che mette la sua voce al servizio dei reietti e
dei perdenti e che trasforma la sua chitarra in un’arma letale contro i fascisti, non si
tratterebbe del folksinger del Minnesota trasformato in rocker. In pochi metterebbero
in discussione che tale ruolo sia appannaggio di Woody Guthrie, il leggendario
cantante di Okemah, Oklahoma.
E cosa significhi essere nato nel 1912 a Okemah, cuore rurale del poverissimo
Oklahoma, e aver lasciato la successiva residenza di Pampa, Texas, come tanti
conterranei disperati a metà degli anni Trenta per cercare l’Eden terreno nella
soleggiata California, dopo che la Grande Depressione aveva impoverito il paese e la
“Dust Bowl”, una micidiale tempesta di sabbia, aveva reso improduttive vaste zone
del Midwest, spiega in larga parte chi sia quest’uomo che, con la sua verve
instancabile e un senso raro, probabilmente unico, dell’allitterazione, creava canzoni
alla velocità della luce. Non di sinfonie si trattava, si potrebbe obbiettare, ma anche
questa è la forza della musica americana da cui Woody Guthrie attinse a piene mani,
talvolta copiando di sana pianta melodie tradizionali. Sua figlia Nora, curatrice del
suo sterminato archivio e fondatrice del Woody Guthrie Center, a Tulsa, Oklahoma,
ama ripetere le parole dello scomodo padre, chiamandolo affettuosamente per nome.
“Woody diceva spesso, ‘Le mie canzoni sono fatte di tre accordi maggiori, ma, ogni
tanto, ci metto dentro un minore, tanto per far colpo sulle signore’.” Perché Woody
Guthrie non ha rappresentato soltanto l’icona del cantastorie itinerante, ma prima di
tutto è stato un uomo come tanti altri, con il suo fardello di imperfezioni, a caccia di
avventure in grado di corroborare la sua inesauribile vena, la sua penna intrisa di
sarcasmo e disperato realismo, la sua voglia di bacchettare i costumi puritani del suo
popolo e di mettere alla gogna le storture irreversibili del capitalismo.
Woody Guthrie si ammalò di corea di Huntingon, una malattie ereditaria
neurodegenerativa, che lo costrinse dentro e fuori da un ospedale negli ultimi anni
della sua vita, in New Jersey. Fu proprio in quegli anni, i primi Sessanta, che un
giovanissimo Bob Dylan appena approdato nella zona della Grande Mela, andò a
bussare alla porta di casa Guthrie. Lui stesso raccontò alla BBC che, “quando lo
incontrai, le sue facoltà mentali non erano al 100 per cento… Conoscevo tutte le sue
canzoni. E andavo da lui per cantargliele. Gli faceva sempre piacere sentire le
canzoni. Ne chiedeva alcune in particolare. Io le conoscevo tutte. Ero una specie di
jukebox di Woody Guthrie”.
Il Tributo con Dylan. E proprio Bob Dylan, con la sua classica ritrosia, fu l’ultimo ospite di cui fosse stata annunciata la presenza al primo “Woody Guthrie Tribute Concert”, in programma alla Carnegie Hall di Manhattan il 20 gennaio 1968. Il secondo concerto, sulla scorta del successo del primo, si sarebbe tenuto all’Hollywood Bowl di Los Angeles il 12 settembre 1970. A volere fortemente i due concerti-tributo fu la sua seconda moglie, la ballerina Marjorie, madre di Arlo Guthrie e Nora, allo scopo di celebrare Woody e di raccogliere fondi per la ricerca contro la malattia di Huntington che, il 3 ottobre 1967, si era preso Woody. Le foto dei concerti ce la ritraggono sorridente e festosa,come pare fosse nella vita di ogni giorno.
Ne furono tratti due album editi da due diverse case discografiche. Oggi, per la prima
volta, sono disponibili al grande pubblico le registrazioni di quelle due serate in un
unico, sontuoso cofanetto. Il marchio Bear Family è una garanzia di assoluta qualità e
la confezione lascia a bocca aperta. Oltre a tre CD, con i due concerti al completo e
una serie di testimonianze orali di grandi personaggi della musica e della cultura del
tempo (compresa la recita completa del poemetto “Last thoughts on Woody Guthrie”
da parte di un emozionato Bob Dylan), due veri e propri libri raccontano il
concepimento e, soprattutto, l’atmosfera di quegli eventi. Materiale fotografico
ricchissimo e testimonianze dirette di grandi personaggi del tempo corredano l’opera.
A impreziosire il tutto, c’è pure una serie di saggi scritti da alcune delle penne più
autorevoli dell’universo Guthrie: Michael Kleff (compagno di Nora Guthrie,
produttore radiofonico ed esperto di musica folk), Will Kaufman (docente di
Letteratura e Cultura Americana presso la University of Central Lancashire,
cantautore e profondo conoscitore dell’opera di Guthrie, sul cui conto ha scritto
diversi libri, compreso Woody Guthrie. American Radical, pubblicato in Italia da
Arcana), l’artista tedesco Wenzel, il docente di Princeton, Sean Wilentz, e altri
ancora.
Controverso. Il personaggio Woody Guthrie a qualcuno potrebbe sembrare controverso. In effetti, la sua personalità vulcanica e il suo spirito nomade lo portarono a trascorrere buona parte del suo tempo lontano da casa, a trascurare spesso la famiglia e ad avvicinarsi pericolosamente a sottane che non erano quelle delle tre mogli. La stessa Nora Guthrie mi confessò una volta di essersi imbattuta, nel corso di una delle ricerche d’archivio che sono il suo pane quotidiano, in una serie di disegni di Woody – un
talento anche sotto quell’aspetto, come testimoniato dalle vignette che accompagnano
il suo libro autobiografico Questa terra è la mia terra, di cui, tra l’altro appare nel
cofanetto la copertina italiana di Marcos y Marcos – di sapore erotico, con tanto di
note esplicative in cui il padre enunciava cosa avrebbe fatto o avesse già fatto a
questa o quella donna. Le illustrazioni, di per sé, non è che lasciassero spazio
all’immaginazione.
Ma anche questo è Woody. Prendere o lasciare.
A giudicare dalla moltitudine di musicisti che ancor oggi si levano il cappello alla
semplice menzione del suo nome, Woody l’hanno preso in tanti, seguendone
l’esempio anche solo per l’immagine dell’hobo munito di chitarra che incarnava.
Saltare su un treno merci e attraversare clandestinamente le lande interne degli Stati
Uniti con la chitarra a tracolla non è forse il sogno di molti, persino nell’odierna era
tecnologica? Chissà cosa avrebbe fatto Woody se avesse disposto di un PC o, meglio
ancora, di uno smartphone? Io me lo immagino in una costante diretta live. Però, che
barba. Molto meglio ricordarcelo come la storia ce lo ha consegnato.
E, per una volta, passatemi il vezzo di un po’ di sano narcisismo: una decina di anni
fa, nella piazza principale di Piacenza, ebbi il privilegio praticamente unico e

irripetibile di cantare “This land is your land” insieme a tre – dico tre! – generazioni
di Guthrie. Il marchio indelebile nella mia anima c’era già, ma l’esperienza lo rese
ancor più profondo. E se c’è un’emozione che cantare le canzoni di Woody Guthrie
davvero sa regalare è quel senso di comunità, di appartenenza, senza confini, che lui
davvero incarnò. In fondo, “This land is your land” è l’esatto opposto di ciò che
l’attuale presidente degli Stati Uniti cerca di far intendere al suo popolo. “This land is
your land” è il vento che si oppone a quell’aria brutta che spira un po’ ovunque,
soprattutto nel mondo occidentale, e che vorrebbe che ci fossero due società
contrapposte, quella dei pochi fortunati che sorridono e quella delle schiere di
derelitti o di anonimi cittadini senza voce in capitolo, condannati a un’esistenza se
non di stento quanto meno di grigiore ridotto al silenzio. Ascoltate “This land is your
land”, appunto, nella versione eseguita a New York da Odetta, Will Geer, Arlo
Guthrie e l’intero cast del concerto, oppure “Goin’ down the road (Ain’t gonna be
treated this a-way)” con le voci di Country Joe McDonald, Arlo Guthrie, Jack Elliott
e Pete Seeger, dal concerto californiano. Entrambi i brani trasudano gioia di vivere e
una certa ribalderia che oggi può far sorridere. Ma sorridere è una bella cosa, nei
momenti cupi.
Parla Will. Will Kaufman è un’autorità in materia di Woody Guthrie. Non a caso, un suo scritto è stato scelto per le note di copertina del cofanetto. Ecco cosa mi ha detto sull’impatto esercitato da Woody sul mondo della musica: “Non è difficile vedere come Woody abbia influenzato un’intera generazione nuova di musicisti o, forse, addirittura duegenerazioni, a partire dagli anni Sessanta. Joe Strummer, Billy Bragg, Bruce
Springsteen, Ani DiFranco, le Indigo Girls, Tom Morello, Chuck D e la lista non
finisce certo qui. Si pensi a quante versioni contemporanee di “This Land Is Your
Land” siano state cantata durante le ultime elezioni presidenziali americane! È
importante che i cantautori di oggi apprezzino l’esempio di Woody, una figura che
aveva occhi e orecchi aperti agli eventi cruciali del suo tempo e che li catturava
attraverso canzoni che hanno fatto il giro del mondo. Così, per esempio, la canzone
“Deportees” ha assunto un significato nuovo nell’epoca di Donald Trump, con la sua
ossessione per i muri e le deportazioni. Ha persino cambiato il corso della stori,
spingendo lo scrittore Tim Hernandez a rintracciare tutti i nomi dei braccianti
migranti messicani perduti e celebrati, senza nome, nella canzone. Ora a quei
braccianti è stato eretto un monumento in California, con tutti i nomi incisi sopra.
Ecco un esempio di una musica che ha un impatto sulla storia. E si pensi agli scritti di
Woody contro quel razzista del suo padrone di casa, Fred Trump – padre del
presidente – l’uomo a cui Donald Trump dice esplicitamente di ispirarsi. Si tratta di
un’eredità apertamente razzista e Woody Guthrie ha lanciato l’allarme
dall’oltretomba”.
Che artisti. Basta leggere l’elenco dei musicisti apparsi nei due concerti-tributo. Ne citeremo solo qualcuno: Joan Baez, Pete Seeger, Odetta, Bob Dylan, Richie Havens, Arlo Guthrie, Judy Collins. E i due gruppi che accompagnarono i grandi ospiti: la Band al completo (anche se, al tempo, ancora non si faceva chiamare così) per il concerto di New York, un ensemble capitanato da Ry Cooder, in California. E pure i presentatori erano d’eccezione: l’attore Robert Ryan (noto per i suoi ruoli torbidi, ma, in realtà, un vero progressista) alla Carnegie Hall e Peter Fonda (ribelle hollywoodiano prossimo
all’ambiente musicale locale e amico di David Crosby e dei Byrds) all’Hollywood
Bowl. Nel cofanetto troverete persino una esauriente filmografia e un altrettanto completa bibliografia su Woody. Woody Guthrie – The Tribute Concerts è un cofanetto da ascoltare, leggere, ammirare, un intrigante suggerimento natalizio per voi o per una persona preziosa.
Ecco un saggio della poetica di quel piccolo grande uomo, un paio di strofe dal brano
“Union maid”: “Oh, you can’t scare me, I’m sticking to the union, I’m sticking to the
union ‘til the day I die” (“Non ce la farete a spaventarmi, perché io resterò con il
sindacato, resterò con il sindacato fino al giorno della mia morte”).
Sembrano trascorse ere geologiche, se pensiamo al disincanto dei nostri lavoratori
così come al disamoramento della classe operaia dalle lotte sindacali in buona parte
del mondo occidentale. In fondo, lo stesso Woody ebbe qualche atteggiamento
politicamente ondivago nell’articolazione del suo pensiero politico, addirittura
sposando in una breve fase della sua vita alcuni tratti dell’avanzante ideologia
nazista, ma l’anima naif del cantautore dell’Oklahoma si vede anche in questo. E si
nota ancor più nella nonchalance con cui abbracciò a poi abbandonò certe posizioni.
Ma una cosa non cambiò mai: la genuina e strenua difesa delle frange più deboli al
cospetto della spietatezza di un establishment sempre più avido e totalitarista. E dire
che gli Stati Uniti sono nati per dare a perseguitati religiosi e diseredati provenienti
dall’Europa un futuro più roseo.

Contraddizioni d’America. Ma è proprio questa una delle ambiguità in grado di
spiegare meglio le insanabili contraddizioni dello stato che da sempre si erge a
baluardo internazionale della democrazia e del liberismo. È questo il suo più
misterioso peccato originale: slanci libertari sostenuti dalla fede incrollabile nella
Bibbia e corroborati dal fuoco fumante del Winchester, ai danni delle popolazioni
indigene, poco più di un seccante ostacolo di percorso sulla via della conquista del
paese, e posizioni via via più intolleranti ed egemoni, ovvero l’esatta antitesi delle
ragioni che avevano spinto i Padri Pellegrini ad avventurarsi in quel mondo nuovo.
Woody lo sapeva e, anche per questo, scrisse il suo brano più celebre, l’inno
alternativo di un’America che, persino di fronte alla sacralità della bandiera a stelle e
strisce, sa interrogarsi sulle proprie falle: “This land is your land”.
“As I went walking I saw a sign there/And on the sign it said ‘No Trespassing.’/But
on the other side it didn’t say nothing,/That side was made for you and me.”
(Camminando vidi un cartello/Su cui stava scritto ‘Proprietà privata.’/Ma sul lato
opposto non c’era scritto nulla,/Quel lato è stato fatto per te e per me.”

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