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Il progetto di Mogol: una 'African agricolture' che dia ai migranti dove lavorare

"Al migrante con famiglia verrà affidato un appezzamento di terreno di circa 4000 metri". Un serio aiuto o superficiale etnocentrismo?

Il progetto di Mogol: una 'African agricolture' che dia ai migranti dove lavorare
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24 Settembre 2017 - 18.20


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Un nuovo progetto per Giulio Rapetti, in arte ‘Mogol’: non musicale questa volta, ma umanitario. L’artista ha deciso di dedicarsi a un progetto per “risolvere il problema numero uno dell’Italia e dell’Europa e cioè quello dei migranti”. “Noi li stiamo accogliendo tutti i giorni, ma non abbiamo molto da offrire: assicuriamo loro la possibilità di dormire e di mangiare – ha spiegato – ma non possiamo garantire loro un futuro”.

Ecco, quindi, il progetto, con cui l’artista propone di utilizzare milioni di ettari nei Paesi africani per trasformarli in orti e frutteti biologici. “Al migrante con famiglia – si legge nella bozza scritta da Mogol – verrà affidato un appezzamento di terreno di circa 4000 metri”, nel quale dovrà “dedicarsi alle coltivazioni con buona volontà” altrimenti, “dopo tre lettere di richiamo da parte dei supervisori verranno rimandati nei Paesi di origine”.

Certo, occorrerebbe fare attenzione a certe affermazioni: in un attimo si rischia di tornare alle case di reclusione del 1600 o ai lavori comuni forzati per ‘insegnare’ ai mendicanti a ‘lavorare’.

Qual è il ruolo dell’Europa? Una società, che il paroliere ha chiamato “African Agricolture” o “A2”, costituita dal 51% dall’UE e dal 49% da grandi aziende europee selezionate con bando, si occuperebbe di finanziare e realizzare il progetto per poi ritirare la produzione e venderla in Europa, “consegnando il 30% del compenso al Paese che ha ospitato il migrante al quale verrà versato il restante 70%”.

Una proposta, quella di Mogol, che dopo due anni dall’ideazione ha avuto l’incoraggiamento epistolare del Segretario di Stato del Vaticano Cardinale Pietro Parolin e ricevuto riscontro da Antonio Tajani: “Il presidente mi ha procurato un incontro in Commissione Europea per presentare il progetto ad ottobre”, racconta l’artista. Un’idea di postcolonialismo economico? “Non mi pare proprio”, risponde. “Non è una forzatura, non c’è un esercito – spiega – ma è una proposta che deve essere accettata sia dai migranti sia dai Paesi che li ospitano”. Paesi che “avranno l’opportunità di migliorare le loro condizioni economiche”.

Un impegno “necessario” per Mogol, che si è già cimentato nell’ideazione di un altro progetto che riguarda l’ambiente e il clima, di cui però non vuole dare alcuna anticipazione. “Il mondo è andato avanti realizzando le utopie”, dice Giulio Rapetti, che nel Centro Europeo di Toscolano (Cet), che ha fondato 25 anni fa, ha diplomato 2500 giovani tra autori, compositori e interpreti. Per il progetto sui migranti non è stato ispirato dal testo di uno dei tantissimi brani che ha scritto durante il lungo sodalizio artistico con Lucio Battisti: “Mi meraviglio delle canzoni che ho scritto, almeno il 5% l’ho dimenticato, – racconta -, le riascolto come se le avesse scritte qualcun altro e devo dire che qualche volta mi compiaccio. Penso che questo progetto faccia parte non della mia creatività, ma dello stesso canale di ricezione che mi ha permesso di scrivere canzoni”. “Poiché molte volte sono autobiografico, – aggiunge – chissà che nel futuro possa scriverne qualche parola”.

 

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