Musicalmente parlando, quella del ’66 fu un’estate veramente calda. Un’estate di fuoco. I dischi si vendevano a palate, la stampa specializzata (Ciao Amici, Big, Giovani, Sorrisi e Canzoni) puntualmente dava notizie su divi e aspiranti tali della canzone, manifestazioni come il Cantagiro andavano a gonfie vele e radunavano decine di migliaia di persone ad ogni tappa.
Non c’era internet, non c’erano i social, i cellulari erano i blindati della Polizia che intervenivano per l’ordine pubblico e non telefoni portatili, eppure la voglia di musica che oggi è supportata e amplificata da queste realtà tecnologiche, era ugualmente soddisfatta. Bastava accendere la radio, mettere cento lire in un jukebox o andare in un negozio di dischi e comprare un 45 giri.
E che dischi. Se si dà un’occhiata alla classifica dei brani più venduti di quell’anno, si può notare come la gran parte sia arrivata ai giorni nostri, cinquant’anni dopo, con la stessa freschezza di allora o comunque senza portarsi appresso la polvere del tempo. Perché sono pezzi scritti bene, musicati meglio e arrangiati come si deve.
E non è solo questione del fascino del vintage alimentato da programmi televisivi ad hoc e dagli stessi interpreti ancora in attività, che ce li fa sembrare attuali. E’ questione che una volta c’erano gli autori, c’era la sana e provvidenziale gavetta che selezionava i migliori e c’erano le case discografiche che “crescevano” i propri artisti. Il settore insomma era in mano a professionisti che a loro volta si avvalevano di altri professionisti: due nomi su tutti, Morricone e Bacalov, maestri arrangiatori della Rca.
E poi, come dicevamo, c’erano fior di autori. Mogol per esempio, che proprio in questi giorni festeggia i suoi 80 anni (la Rai gli dedica prossimamente due puntate in cui ci sarà una vera e propria passerella della sua produzione). Tre dei brani top di quell’anno sono firmati da lui: “Riderà”, “Che colpa abbiamo noi” e “Io ho in mente te”. Tre dischi (cover di brani stranieri e quindi riplasmate nei testi da Mogol), che hanno fatto letteralmente la fortuna dei rispettivi interpreti.
Con “Io ho in mente te”, l’Equipe 84 ci vinse il Cantagiro peraltro proprio sui Rokes che portavano “Che colpa abbiamo noi” e per una manciata di punti (solo dieci in più), ed entrambi furono due successoni che accompagnarono i giovanissimi per tutta l’estate, attratti dal sound beat dei brani e ovviamente dal fascino che esercitavano i due complessi guidati rispettivamente da Maurizio Vandelli e Shell Shapiro.
“Riderà” invece, diventerà il cavallo di battaglia di Little Tony (insieme a Cuore matto) vendendo quasi due milioni di copie e diventando uno dei brani indimenticabili di tutti gli anni 60. E pensare che “il ragazzo col ciuffo” non lo voleva incidere. Lui, amante del rock, riteneva che questa canzone lanciata in Francia dal suo autore Hervè Vilard ( “Fais la rire”), fosse troppo poco ritmica ed eccessivamente melodica. Quando nel suo entourage gli fecero presente che anche Elvis cantava brani di quel genere e che lui era già andato bene con “T’amo e t’amerò”, Tony ebbe un ripensamento e si decise a entrare in sala d’incisione. E fu un trionfo.
E che dire dei due 45 giri piazzati da Adamo in classifica: “Lei” ( Cammina per le strade deserte… e immagini subito le citazioni di Nanni Moretti nei suoi film “Ecce bombo” e “Il caimano”), “Amo” (….quel vento che mi stuzzica…), due piccole perle del cantante di origini siciliane che fece fortuna in Belgio e in tutta Europa e che emozionavano il pubblico e furono tra le più ballate nelle Rotonde sul mare.
Come fu ballata allo sfinimento “Notte di ferragosto” di Gianni Morandi già in classifica con la “Fisarmonica. Un pezzo d’atmosfera firmato da tre numeri uno come Migliacci, Zambrini e Bacalov che vinse il Cantagiro ed entrò in Hit parade tre giorni dopo il matrimonio di Giberna (come veniva chiamato allora Morandi per il curioso berretto da militare che portava) con Laura Efrikian (13 luglio 1966), l’attrice che aveva recitato con lui in tanti musicarelli.
E poi quel “Tema” lanciato dai Giganti, “Un giorno qualcuno ti chiederà: cosa pensi dell’amore”, col vocione di Enrico Maria Papes a fare da “professore”, che stracciò tutti al Disco per l’Estate facendo sognare con quel suo sound semplice (chitarre acustiche, basso, batteria e ottimo impasto di voci) e quel testo da flirt liceale, i ragazzi che al ribellismo del beat, preferivano la melodia rassicurante del pop tricolore.
Che dire poi della Caselli. Uscita trionfatrice da Sanremo e diventata per l’Italia che andava a 45 giri “Casco d’oro”, ripeteva l’exploit al Festivalbar con il suo “Perdono”, ritmatissimo brano che con quell’inciso “Di notte è molto strano, ma il fuoco di un cerino, ti sembra il sole che non hai” faceva vibrare cuori e favoriva riconciliazioni dopo gli immancabili e trasgressivi flirt estivi.
E in quella Hit Parade storica di quella Estate che sembrava non finisse mai, tra sogni della California dei Dik Dik, il “Qui ritornerà” della Pavone e il ragazzo di strada dei Corvi, arrivò all’improvviso anche Frank Sinatra, il più grande di tutti. Entrò in classifica senza alcuna promozione particolare ma solo con la forza della sua classe, scalzò Morandi e i Giganti e allungò per settimane fino all’autunno al numero uno.
Primo con un brano che avrebbe fatto il giro del mondo e gli avrebbe ridato quella popolarità offuscata dalle nuove mode e i nuovi miti (Beatles in testa), “Strangers in the night”, sconosciuti nella notte, una gemma del repertorio di The Voice che sarebbe diventata una sorta di marchio di fabbrica Sinatra, con quel finale del pezzo in stile scat sulla melodia, che solo un grande come lui poteva improvvisare: «doo-be-doo-be-doo”. Indimenticabile.
Sì, fu un’estate veramente calda quella del ’66. Un’estate di fuoco.