L’ultima volta in concerto. Era l’estate di fuoco 1966 esattamente il 29 di agosto, quando Paul, John, George e Ringo si esibirono davanti a 25mila teenagers americani impazziti al “Candlestick Park” di San Francisco, per quello che poi sarebbe stata l’ultima performance sottolineata da isterismi collettivi, urla, svenimenti e lacrime di gioia, l’ultima volta ad appena tre anni e dieci mesi dall’uscita del loro primo disco con “Love me do” e “P.S. I love you”.
Uno stop che ai giorni nostri, dove il successo e il guadagno si misurano coi live negli stadi, appare incomprensibile ma che allora quando i dischi si vendevano a milioni è quanto meno giustificabile tenuto conto poi che il loro cachet era estremamente basso: 90mila dollari.
Ma quella decisione comunque insolita e che paradossalmente avrebbe contribuito a conferire ai Beatles quella sacralità di gruppo più idolatrato della musica pop fu determinata da una serie di situazioni.
La principale è puramente tecnica. I Fab Four musicisti di talento, erano naturalmente interessati ed attratti dalle possibilità che offrivano le nuove tecnologie, come conferma l’album registrato quell’anno, “Revolver”, dove i cambi di velocità delle registrazioni, le sovraincisioni, i rumori e i loop sono ampiamente utilizzati. Dal vivo riprodurre certi effetti sarebbe stato problematico.
Il frastuono provocato dai fans che accompagnava le loro performance e che le rendeva uniche inoltre, impediva di fatto ai quattro di ascoltarsi e di poter rendere al meglio le loro esecuzioni. Accanto a queste circostanze da addetti ai lavori, ce ne erano poi altre più personali che investivano la loro incolumità fisica.
A luglio di quell’ anno durante il tour nelle Filippine, i Beatles furono insultati e minacciati dalla gente aizzata dalla stampa locale, perché avevano declinato l’invito a partecipare a un ricevimento organizzato dalla potente First lady Imelda Marcos. Negli USA poi dopo la celebre dichiarazione di Lennon “Siamo più famosi di Gesù”, le cose andarono peggio.
Proteste dei religiosi, sollevazioni dei politici più conservatori, commenti negativi degli anchorman televisivi, insulti da parte dell’ordinary people, dischi dati alle fiamme e minacce da parte del Ku Klux Klan, della serie insomma, di tutto e di più.
Ecco perché scattò così lo “stop coi Beatles stop” che nessuno dei loro incalliti fedelissimi avrebbe mai auspicato. Si dovrà aspettare il 30 gennaio del 1969 per riascoltarli dal vivo ma non in concerto, sul tetto degli studi della Apple ad Abbey road in quella indimenticabile e struggente esibizione di quaranta minuti che sancì peraltro la fine della band più famosa e idolatrato nel mondo.
Un affetto e una passione per loro che a distanza di tempo è rimasta immutata. E non a caso l’industria musicale ne evoca continuamente il ricordo. Il 9 settembre uscirà infatti una nuova raccolta intitolata”The Beatles Live At The Hollywood Bowl” con i tre concerti tenuti a Los Angeles tra il 64 e il 65 rimasterizzati e l’ aggiunta di alcune versioni di brani mai pubblicati.
Ma la vera chicca per cui c’è molta attesa, sarà il film realizzato dal premio Oscar Ron Howard ” The Beatles Eigt days a week-The touring years”, che ripercorre le tournée del complesso inglese dalle prime esibizioni degli esordi al mitico Cavern Club di Liverpool sino all’ultimo concerto di 50 anni fa di cui parlavamo. Il docufilm sarà presentato a Londra in prima mondiale poi verrà proiettato per una settimana nelle sale, in Italia distribuito dalla Lucky Red dal 15 al 21 settembre.