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A Cagliari, Requiem per pochi intimi

L’Orchestra del Teatro Lirico ha saputo giostrarsi con abilità nel gioco di armonie modali dal sapore antico, sovrapposizioni di combinazioni sempre diverse [F.Mulas]

A Cagliari, Requiem per pochi intimi
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22 Marzo 2015 - 13.15


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di Francesca Mulas

Secondo appuntamento, venerdì 20 (e sabato 21 marzo alle ore 19), per la Stagione sinfonica del Teatro Lirico di Cagliari: protagonista assoluto il Coro (guidato dal M° Gaetano Mastroiaco) che l’ha fatta da padrone nell’esecuzione del “Requiem” op. 48 di Gabriel Fauré e nei “Quattro pezzi sacri” di Giuseppe Verdi. Programma impegnativo che ha probabilmente spaventato il pubblico; la serata invece è stata estremamente piacevole, grazie ad un fortunato e sorprendente accordo fra tutte le parti coinvolte.

Il “Requiem”, quindi: un brano della fine del XIX secolo, presentato in diverse versioni (al Teatro di Cagliari è proposta l’ultima e più lunga, eseguita per la prima volta nel 1900 a Parigi) nel quale il compositore non vuole esprimere il dramma della morte (come nei tempestosi “Requiem” di Verdi e di Berlioz, ad esempio, dal gusto melodrammatico) ma la liberazione dalla schiavitù del corpo. L’Orchestra del Teatro Lirico ha saputo giostrarsi con abilità in questo gioco di armonie modali dal sapore antico, cambiamenti di colore traslucenti e sovrapposizioni di combinazioni sempre diverse: merito dell’equilibrio creato dal direttore, il M° Sebastiano Rolli, il quale è riuscito a dare un’impronta personale ma non invadente all’esecuzione del delicatissimo brano. Oltre al Coro, gli altri protagonisti di questa prima parte sono stati i due solisti: il soprano Angela Nisi, dal timbro sorprendentemente scuro e caldo, coinvolgente nel “Pie Jesu”. Il baritono Sergio Vitale è invece sembrato un po’ spaesato: i vibrati e le incertezze di intonazione soprattutto nel “Libera me Domine” hanno mostrato come forse egli si esprima al meglio in strutture più complesse quali quelle operistiche.

Con i “Quattro pezzi sacri”, nella seconda parte della serata, si è trasportati in un’altra dimensione: il compositore di Busseto, fortemente agnostico (con buona pace della moglie, fervente cattolica preoccupata per la sua anima), prende dei testi religiosi celeberrimi e li mette in musica per indagare il mistero dell’ignoto e per dilettarsi in artifizi compositivi puramente cerebrali. Alla fine della sua carriera, Verdi poteva permettersi anche qualche divertimento: così raccoglie la sfida lanciata da Adolfo Crescentini nella “Gazzetta musicale” nel 1888 e scrive la sua “Ave Maria” per solo coro sopra la “scala enigmatica” (una specie di scale di Do con alterazioni irregolari), una pura dimostrazione di tecnica armonica e di fluidità modale.

Solitamente dopo l’”Ave Maria” viene eseguito lo “Stabat Mater”; venerdì 20, invece, per un’indisposizione del primo clarinetto Pasquale Iriu (corso fuori dal palcoscenico all’ultima nota dell’ ”Ave Maria”, con crescente preoccupazione di pubblico e dirigenti del Teatro, preoccupazione poi dissipatasi da un annuncio di Rolli) è stata la volta delle “Laudi alla Vergine Maria” per coro femminile, su testo di Dante, Paradiso XXXIII 1-21. Dirette per la prima volta da Arturo Toscanini nel 1899, hanno lo stesso sapore intellettuale e di godimento estetico dell’”Ave Maria”. Cambio di carattere, invece, per lo “Stabat mater” su testo di Jacopone da Todi (dopo il rientro fra gli applausi dell’imbarazzato Iriu) e per il “Te Deum” , entrambi accompagnati dall’Orchestra: brani dalla complessa architettura musicale e di grande forza espressiva, mirata alla trasmissione delle emozioni più estreme. Un Verdi ricco di dissonanze, sicuramente diverso da quello solitamente più popolare: in sostanza un gran bel concerto, con dei brani eseguiti non di frequente (anche se Fauré e il suo “Requiem” sono già passati per Cagliari nel 2012) e con degli ottimi interpreti. Il prossimo concerto, venerdì 27 e sabato 28 marzo, vedrà invece il ritorno del sinfonismo e della cantabilità, con il concerto per violino e orchestra in Re maggiore di Čajkovskij e la Sinfonia n. 8 di Dvořák.

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