Sono passati tre anni dalla morte di Amy Winehouse, stroncata a 27 anni (come Jimi Hendrix, Jim Morrison e Janis Joplin) da una vita di eccessi.
La cantante è morta nella sua casa, al numero 30 di Camden Square, uccisa dall’alcol. L’autopsia ha accertato che nel corpo della rocker ce n’erano 416 milligrammi ogni cento millilitri di sangue.
Amy Winehouse, cantautrice, stilista e produttrice discografica britannica di origine ebraica, figlia di un bassista e una farmacista, si era avvicinata prestissimo al mondo della musica e a 10 anni aveva fondato un gruppo rap. Nel 2003, a vent’anni, il suo talento era esploso con la pubblicazione dell’album “Frank”, apprezzato da pubblico e critica, soprattutto per la sua voce così particolare e inconfondibile, abbinato a un look retrò, subito imitato e diventato di moda.
Nel 2007, con l’uscita del secondo album “Back to Black”, Amy Winehouse era diventata un vero e proprio fenomeno e la sua discesa all’inferno aveva subito un’accelerazione. L’album ebbe un successo planetario, tanto da vincere ben cinque Grammy Awards. Il susseguirsi di problemi di salute, legati ai disturbi alimentati, e l’abuso di droga e alcol si susseguirono e ritardarono la realizzazione del terzo album, uscito nel 2011.
Di Amy Winehouse si ricordano le performance eccezionali e quelle disastrose, come la sua ultima apparizione pubblica a Belgrado, dove, palesemente ubriaca, non era riuscita a cantare nemmeno una canzone.