Blazer azzurro col nastrino della più alta onorificenza armena sul bavero, quella di Eroe nazionale, camicia aperta sul collo, pantalone bianco immacolato e mocassino scuro, quando con passo deciso è entrato nella Sala delle Bandiere del Campidoglio, i cronisti e i fotografi presenti in massa si sono alzati in piedi ed hanno battuto le mani. Lui, con quello sguardo sornione di chi la sa lunga e che ha dominato platee ben più vaste, ha ringraziato declinando lievemente il capo e con le mani ha fatto cenno a tutti di sedersi.
Et voilà, Aznavour a Roma. Ed è subito evento. La conferenza stampa indetta per presentare la sua unica data italiana del tour mondiale (il prossimo 1 luglio al Centrale Live del Foro Italico), diventa un vero e proprio one man show con richieste di autografi, selfie e foto a raffica al mito vivente della canzone francese.
E lui non ha deluso gli addetti ai lavori, disponibile e paziente con tutti e soprattutto ciarliero più del solito quando ha iniziato a parlare di sé, della sua carriera e dei suoi progetti (cantare in Turchia quando verranno ammessi gli orrori del genocidio). Sì perché Charles Aznavour, 90 anni da poco festeggiati con la vitalità di un baldo settantenne, non ha nessuna intenzione di fermarsi. “La pensione? Non esiste questo termine nel mio vocabolario, ha detto convinto e con tono ironico, sarebbe l’anticamera dello stop definitivo, quello eterno”. Altro che buen retiro in qualche resort da nababbi quindi.
“Il mio successo lo devo al pubblico, ma anche a chi ha creduto in me (Edith Piaf n.d.r.) che mi ha fatto crescere professionalmente portandomi in tournèe in giro per la Francia e permettendomi di arrivare, io figlio di immigrati con un infanzia difficile alle spalle, a cantare all’Olympia e poi ovunque”.
Per uno come lui che viene da lontano, inevitabile la domando su come sia cambiato il mondo dello spettacolo da quando ha cominciato: “La radio, la televisione e infine Internet hanno cambiato molto il mondo della musica. Quando ho iniziato io si faceva un tour di villaggio in villaggio, di paese in paese per farsi conoscere. Oggi i giovani devono farsi conoscere attraverso la rete ed è molto più difficile spingere per trovare uno spazio. Alla mia epoca si affittava una sala vuota e poi ci si doveva dar da fare per riempirla”. E i risultati si sono visti.
Trecento milioni di dischi venduti nel mondo, mille canzoni scritte, 60 film all’attivo come interprete, Aznavour come ha sottolineato, deve molto qui da noi, ai suoi “traduttori”, autori del calibro di Giorgio Calabrese, Mogol e Sergio Bardotti, che hanno firmato i testi dei suoi 74 brani cantati in italiano, alcuno dei quali, riproporrà nell’imminente recital.
“Ogni concerto è diverso perché diverso è il pubblico, il posto dove suoni e il tuo stato d’animo, la scaletta però è la stessa, non scelgo canzoni diverse per serate diverse. E sono contrario ai bis perché al cinema non si chiede una sequenza supplementare dopo i titoli di coda o non si chiede alla diva dell’opera di resuscitare alla fine dello spettacolo. Trovo che sia una vergogna far aspettare il pubblico a battere i piedi e le mani, se si deve tornare in scena occorre tornare subito”.
Ci saranno perciò tutte d’un fiato e senza bis le classiche “Ed io tra di voi”, “Ti lasci andare”, “Come è triste Venezia”, “Lei”, “Quel che non si fa più”. Cavalli di battaglia amati da generazioni di fan, che raccontano con quella voce particolare ed inconfondibile, di amori complicati, vicende di coppie, situazioni struggenti e vite vissute con rimpianti.
Ma anche temi che non tutti gli artisti affrontano perché considerati scomodi. ”Nelle mie canzoni non ci devono essere tabù,”confessa Aznavour riferendosi al suo pezzo dal titolo “Comme ils disent” (“Quello che si dice”) in cui si parla di omosessualità, “le storie vanno raccontate così come sono, anche se il pubblico all’inizio non le accetta. Ciò che è importante è evitare la volgarità, perché la volgarità uccide tutto ciò che è poetico e tutto ciò che è vero. Se la canterò a Mosca? Io vorrei proprio cantarla perché mi hanno detto che il signor Putin è contro gli omosessuali, però se mi chiederanno di non cantarla non la canterò perché sono anche ambasciatore dell’Armenia, un paese vicino alla Russia e non vorrei creare un caso diplomatico. In cuor mio però spero che si dimentichino di dirmelo”.
Ultimo degli chansonnier d’oltralpe, grande vecchio della canzone mondiale, conosciuto come il Frank Sinatra di Francia e universalmente considerato “l’istrione” del palcoscenico, Aznavour fra i tanti artisti con cui ha collaborato in Italia, ha grande sima per Massimo Ranieri, “formidabile!”, “perchè tanti sanno cantare bene, tanti sanno recitare bene, tanti sanno ballare bene, ma è difficile trovare uno completo come lui, uno che sa fare tutto e bene. E’ l’unico che ha una sensibilità interpretativa vicina alla mia”.
La conferenza stampa è finita, il manager David Zard e lo staff degli organizzatori di Ventidieci gongolano, Aznavour ringrazia, il sindaco Marino sorride e le telecamere si spengono. Come da prassi, quando c’è un ospite di rilievo sul colle più alto della Caput Mundi, ora c’è il trasferimento nella stanza del sindaco per godere della vista sul Foro dal balcone. Lo hanno fatto tutti. Clinton, Obama, i vari Papi, Prandelli. Ora tocca a lui. “E’ questo il balcone di Mussolini?” chiede Aznavour rapito da quella visione in presa diretta sulla storia. Marino ha un sussulto, poi sorride di nuovo e spiega “no maestro, quello sta qui dietro, a piazza Venezia, ma è chiuso”. Sipario. Inizia la vacanza romana.