Racconta una storia romanzesca di amore e della Resistenza, che parrebbe perfino inventata se non fosse avvenuta davvero, Giorgio van Straten nel suo romanzo “La ribelle” (Laterza, 238 pagine, 19 euro). Racconta di Nada Parri, diventata partigiana insieme al suo amore, l’ufficiale tedesco Hermann Wilkens che ha una ventina di anni di più e arriverà a disertare e combattere contro il suo stesso esercito per amore di lei e perché non era un nazista. Il loro amore è sbocciato durante la guerra, a Marina di Carrara in Toscana, quando lei, poco più di una ragazza, ha il marito che sembra morto e disperso in guerra (ricomparirà a sorpresa), la famiglia di lui la opprime e la fa sentire prigioniera, la umilia, si deduce perché la giovane donna è di un ceto sociale più umile.
Van Straten impagina una storia sconosciuta a quasi tutti che Nada Parri, nata a Empoli nel 1923, morta a 95 anni, nel dopoguerra sindacalista, iscritta al Partito comunista e nel 1975 eletta prima sindaca – apprezzata – di Cerreto Guidi nel pistoiese, ha svelato in parte solo in tarda età. Come tanti dopo la guerra la donna aveva mantenuto il riserbo. L’autore ne parla al nuovo “Seminare idee festival” di Prato in un incontro sabato 7 giugno alle 10.15 in piazza delle Carceri insieme a Walter Veltroni: il titolo è “Capitane coraggiose”. Dove lo scrittore, regista romano, già segretario del Pd dal 2007 al 2009 e direttore de l’Unità dal 1992 al 1996, interviene con il suo libro anch’esso uscito in questo 2025, “Iris, la libertà” (Rizzoli, 224 pagine, 18,50 euro), la storia di un’altra partigiana, Iris per l’appunto, che condivise la battaglia contro i nazifascisti insieme al compagno Silvio Corbari e fu uccisa nell’agosto del 1944.
Van Straten rispetta i sentimenti, tanto che spesso scrive di supporre cosa i due protagonisti abbiano provato o pensato senza arrogarsi il diritto di stabilirlo. Lo scrittore toscano impagina storie individuali intrecciate alla storia collettiva con un sottotesto: né la giovane Nada né Hermann né nessuno di noi sfugge alle maglie della storia. Possiamo invece fare delle scelte, pur se allora con il fascismo, con l’occupazione tedesca, scegliere era difficile, rischioso. E queste scelte possono essere dettate da ideali, interessi meschini o nobili, come possono scaturire da sentimenti, in questo caso d’amore e dal desiderio di liberazione personale. Perché “La ribelle” ammette come legittimi i sentimenti condizionati dalle vicende collettive.
Incluso tra i prefinalisti del premio Strega e arrivato alla soglia della cinquina con 159 voti (il quinto titolo è entrato con 180 preferenze), “La ribelle” è un romanzo come lo si intende oggi: racconta fatti storici, racconta la Resistenza e in prima persona, usando l’ “io”. Van Straten dà infatti conto anche della sua ricerca, a volte accidentata, invero ingegnosa, di confronti personali, la caccia a testimonianze, a documenti, come ammette che la storia di Nada ed Hermann lo tocca intimamente e, per questo, vi si è buttato a capofitto. Senza essere uno storico, come dichiara, bensì un narratore che ama esplorare la storia e le storie individuali.
Da narratore, Van Straten ricorda: “Nelle province di Lucca e Massa Carrara, nei mesi di luglio, agosto e settembre (ma soprattutto ad agosto) i nazifascisti provocarono oltre trenta eccidi per un totale di quasi duemila vittime”. Se ignoriamo i nomi delle frazioni colpite, riflette, “un nome lo conoscono tutti, e non perché fosse allora più noto degli altri: Sant’Anna di Stazzema”. L’autore compie qui, con la parola, una scelta, invoca una “damnatio memoriae”. “Di solito nei testi sull’eccidio si indica il nome di chi comandava quelle compagnie, ma io ho deciso di non scrivere come si chiamasse: la peggior maledizione per un uomo è cancellare ogni traccia del suo passaggio sulla terra, distruggerne la memoria, dimenticarne per sempre l’esistenza: così voglio fare con il Gruppenführer che ordinò di massacrare cinquecentosessanta persone, prevalentemente vecchi, donne e bambini. Centotrenta bambini”. Centotrenta bambini, appunto. E vediamo ancora oggi quanto i bambini siano vittime di guerra e di persecuzione.
Dopo il conflitto mondiale l’amore tra Nada ed Hermann non prenderà la piega che un romanzo d’amore avrebbe previsto. Lui dovrà tornare al nord e non rientrerà come promesso, mentirà per lettera, si rifarà una sua vita. Anche Nada Parri imboccherà una sua strada. Van Straten racconta l’epilogo e si ferma sulla soglia del dopo. Con sensibilità, rispetto e delicatezza sa restituire a Nada, e alle donne come lei, il loro volto e un riconoscimento di “ribelle”: ribelle anche per istinto contro le convenzioni e le ingiustizie.
Nato a Firenze nel 1955, Van Straten ha scritto vari romanzi debuttando nel 1987 con “Generazione” cui seguì la raccolta di racconti “Hai sbagliato foresta” nel 1989. Tra altri incarichi dal 2020 è presidente della Fondazione Alinari per la fotografia, dal 2015 al 2019 ha diretto l’Istituto italiano di cultura di New York.
Il festival culturale “Seminare idee” è alla prima edizione. Il tema è il coraggio. Lo hanno ideato e lo dirigono Annalisa Fattori e Paola Nobile, lo promuovono la Fondazione cassa di risparmio di Prato e il Comune pratese. Qui la url dell’incontro di sabato 7 giugno alle 10.15 con Giorgio van Straten e Walter Veltroni
https://www.seminareideefestival.it/evento_festival/capitane-coraggiose/