Alì dagli Occhi Azzurri e la Profezia di Pasolini

Pubblichiamo la straordinaria poesia dedicata da Pier Paolo Pasolini a Jean Paul Sartre. Analisi tra Nord e Sud e tra cristianesimo e marxismo.

Alì dagli Occhi Azzurri e la Profezia di Pasolini
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2 Novembre 2016 - 10.25


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Questo contributo del sociologo tedesco Peter Kammerer, già edito nel 1993 (“Il Passaggio”, Roma, anno VI, n.2), è stato proposto con ritocchi il 1^ dicembre 2013 a Urbania nella sessione speciale dedicata a Pasolini del convegno “I teatri delle diversità”, diretto da Vito Minoia. Un intervento appassionato e di ampio respiro sulla poesia Profezia di Pasolini, indagata negli aspetti formali e tipografici, nei riferimenti letterari e nel contesto storico, fino alle incredibili risonanze con la cronaca dei nostri giorni e con lo sbarco continuo degli immigrati sulle coste italiane. Il saggio è leggibile anche nella rivista “Teatri della diversità”, agosto 2014, anno 19.mo, pp.4-7. [b]“Alì dagli Occhi Azzurri”. Una profezia di Pier Paolo Pasolini
di Peter Kammerer[/b]

La figura di “Alì dagli Occhi Azzurri” è una figura emblematica per il Pasolini degli anni 1962-1965, impegnato in una riflessione esistenziale sul rapporto tra Nord e Sud e tra cristianesimo e marxismo. Per Pasolini le due questioni si incrociano e il punto focale della sua analisi poetica, la poesia Profezia, è scritta in modo da formare una croce. Ma tutte le sue opere di allora, dalla Ricotta (1962) alla Poesia in forma di rosa (pubblicata nel 1964), dal film La rabbia (1963) al Vangelo secondo Matteo (1964) fino a Uccellacci e uccellini (1965-66), risentono di questo travaglio. Poi Uccellacci e uccellini chiude un’epoca e ne apre un’altra.
Incontriamo “Alì dagli Occhi Azzurri” per la prima volta nella poesia Profezia, scritta probabilmente già nel 1962 e pubblicata nel volume Poesia in forma di rosa. Una dedica recita: “A Jean Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri”. Poesia in forma di rosa esce nel 1964, ma nello stesso anno Pasolini pubblica ancora una seconda versione della Profezia (peggiorata, secondo me) e la mette nella importante raccolta di racconti, sceneggiature e progetti di film che va dal 1950 al 1965. Al volume, pubblicato nel 1965, l’autore addirittura dà il titolo di Alì dagli occhi azzurri, collocando cosi tutto il materiale in una prospettiva sorprendente e nuova. Il titolo viene spiegato alla fine in una “Avvertenza” che descrive l’incontro con Ninetto in un cinema romano. Ninetto è un “messaggero” e parla dei Persiani. “I Persiani – dice – si ammassano alle frontiere. / Ma milioni e milioni di essi sono già pacificamente immigrati, / sono qui, al capolinea del 12, del 13, del 409 … Il loro capo si chiama: / Alì dagli Occhi Azzurri”.

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Versi della Profezia ne troviamo infine nella predica di S. Francesco nel film Uccellacci e uccellini (girato nell’inverno 1965-66). La citazione fatta nel film nella sceneggiatura non c’è, ma fu inserita più tardi. Nella sceneggiatura la predica di S. Francesco agli uccelli è quella della tradizione, piuttosto scontata e arciconosciuta. Pasolini probabilmente ha capito questo e gli è venuta l’idea di mettere in bocca a S. Francesco alcuni versi della Profezia. Così il santo si rivolge agli uccelli con ben altra forza: “Voi che non volete sapere e vivete come assassini tra le nuvole e vivete come banditi nel vento e vivete come pazzi nel cielo, voi che avete la vostra legge fuori dalla legge e passate i giorni in un mondo che sta fuori del mondo e non conoscete il lavoro e ballate ai massacri dei grandi”.
Ecco il terzo mondo nella sua crudele innocenza, nella sua feroce irrazionalità e nella sua esistenziale alterità. Come porsi di fronte a questa alterità? S. Francesco coglie il problema e continua la sua predica così: “Noi possiamo conoscervi solo attraverso Dio perché i nostri occhi si sono troppo abituati alla nostra vita e non sanno più riconoscere quella che voi vivete nel deserto e nella selva, ricchi solo di prole. Noi dobbiamo sapervi riconcepire e siete voi a testimoniare Cristo ai fedeli inariditi, con la vostra allegrezza, con la vostra pura forza che è fede”.
L’indicazione è precisa: ci troviamo di fronte ad una aporia, ci scontriamo con una pietra dello scandalo. L’esistenza terzo mondo per il mondo industrializzato è scandalo, perché pone il problema non del concepire, ma del “ri-concepire” l’altro, cambiando i “nostri occhi troppo abituati alla nostra vita”, cosa che si può fare “solo attraverso Dio”. Per vedere giusto ci vuole qualcosa che trascenda la nostra situazione. Dio è una specie di punto di Archimede, dal quale diventa possibile muovere il mondo. La leva di ogni rivoluzione posa su questo punto. La rappresentazione del sottoproletariato nel sacrificio e nella crocefissione è rievocazione di un mito, ma anche descrizione di una attualità bruciante: un passato che non è passato, ma che ogni giorno si rinnova. In parole povere: il terzo mondo non ricorda solo il nostro passato, ma lo è nel presente della società industriale.

Nella sua poesia Pasolini predisse cinquanta anni fa una specie di invasione di “extracomunitari”. Scriveva Pasolini:

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Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
(…)

Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camicie americane.

Sono sbarcati nel 1991 in Puglia ed erano Albanesi, ma la descrizione è esatta. E Pasolini l’ha fatta agli inizi degli anni ’60, quando l’emigrazione italiana del dopoguerra verso l’estero raggiungeva il suo massimo livello e nessuno si sarebbe immaginato un’Italia paese di immigrazione meta di un Boat people tragico. Pasolini fu l’unico ad avere questo “fiuto sociologico”.
Era l’unico a decifrare il messaggio di Ninetto, il “messaggero”. Ma anche se questi fatti si sono avverati, essi comunque non costituiscono che l’aspetto esteriore della profezia. Il suo nucleo vero indica ben altro. Seguiamo la poesia, scritta, come abbiamo detto, in forma di croce.
La dedica chiama in causa Sartre, al quale Pasolini deve la storia di Alì dagli Occhi Azzurri. Pasolini lo ricorda allo stesso Sartre in un altro colloquio avvenuto nel dicembre 1964. Ne fu testimone Maria Antonietta Macciocchi, che pubblica un resoconto su “l’Unità” del 22 dicembre 1964. Pasolini si trova a Parigi per far vedere il Vangelo, resta fortemente deluso, per non dire offeso, dalla reazione degli intellettuali francesi marxisti. Sartre lo consola e Pasolini dice: “Ho dedicato a lei, Sartre, una poesia, Alì dagli Occhi Azzurri, sulla base di un racconto che lei mi fece a Roma…”. E Sartre: “Sono del suo avviso che l’atteggiamento (della sinistra) francese di fronte al Vangelo… è un atteggiamento ambiguo. Essa non ha integrato Cristo culturale. La sinistra lo ha messo da parte. Né si sa che fare dei fatti che concernono la cristologia. Hanno paura che il martirio del sottoproletariato possa essere interpretato in un modo o nell’altro nel martirio di Cristo”.
In La ricotta Pasolini ha dato proprio questa interpretazione e al reazione della destra alla demistificazione dell’iconografia tradizionale è stata violenta. Ma ora, nella Profezia, il poeta va ancora avanti insiste sull’altro significato della croce, quello della redenzione/resurrezione. La poesia apre subito in tono biblico, racconta di “un figlio” che scende nella Calabria arida, dove:

…la luna color delle feci
coltivava terreni
che mai l’estate amò.
Ed era nei tempi del figlio
che questo amore poteva
cominciare, e non cominciò.

Ci troviamo nella Calabria della riforma agraria e l’amore poteva cominciare perché

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…era il tempo
quando una nuova cristianità
riduceva a penombra il mondo
del capitale…

Ex oriente lux. Ma la “nuova cristianità” finisce nelle secche del razionalismo occidentale. L’”operaio di Milano” lotta con “tanta grandezza” per il suo salario, ha “procurato inutilmente” la riforma agraria al contadino del Sud e lo ha “modernizzato inutilmente”. Due volte e a brevissima distanza appare questa parola terribile: “inutilmente”. Il sapere del figlio si scontra con il sapere “inutile” dello sviluppo e

…dei concimi chimici
della lotta sindacale, degli scherzi
degli Enti Benefattori, della
Demagogia dello Stato
e del Partito Comunista…

E così il contadino del Sud compie il suo destino abbandonando la propria terra, emigrando verso “il meraviglioso sole del Nord”, sostituendo ai suoi “feticci oscuri” quello nuovi di zecca, i frigoriferi, la televisione e la “Divinità alleata” delle Commissioni Interne. E “tre millenni svanirono, non tre secoli, non tre anni”. Finisce così una storia millenaria, più grande di un’epoca?

…Ah, ma il figlio sa: la grazia del sapere / è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall’Africa.

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Irrompe nel nostro mondo un altro sapere, quello dell’irrazionalità, sbarca il terzo mondo non addomesticato e ci costringe ad un confronto con una concezione antitetica della vita, arrivano

essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare / essi che vissero come assassini sotto terra, essi che come vissero come banditi / in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo

ai quali si rivolgeva, come abbiamo visto, la predica di S. Francesco, un santo mistico, impregnato di “oriente”. Con questa irruzione la poesia espande le ali, spicca un volo onirico e dischiude una grandiosa sintesi profetica: “Essi” insegnano “ai compagni operai la gioia della vita”, “ai borghesi la gioia della libertà”, “ai cristiani la gioia della morte”. Il finale unisce il “dolce Papa dal misterioso paterno testone campagnolo” e Trotzky, il bolscevico “industrialista”, ma anche simbolo dell’eresia.

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…distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno come zingari
su verso l’Ovest e il Nord
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento…

Questa profezia ricorda il titolo famoso che Carlo Levi ha dato ad un suo libro di viaggio in Urss, Il futuro ha un cuore antico, ma accomuna Pasolini in modo sorprendente anche ad un altro grande pensatore marxista eretico, Walter Benjamin. Da origini e da sponde completamente diverse, il pensiero di Benjamin era giunto a due tesi, intorno alle quali ruota il suo pensiero: non c’è rivoluzione senza un “nucleo ardente teologico” e, rovesciando il “prospettivismo” marxista-leninista, “il compito principale della rivoluzione comunista consiste nella liberazione del passato”.
Di questo bisogno e delle sue strade ci parla la profezia poetica, onirica e mistica di Pasolini.

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