di Giuseppe Costigliola
Finalmente, il doloroso parto dei premi César, gli Oscar di Francia, è avvenuto. Le previsioni, più o meno, sono state rispettate, ma non è questo ad aver arroventato il clima che si respira da settimane attorno all’Académie des arts et techniques du cinéma: c’è ben altro in ballo dietro le discussioni di rito sull’assegnazione di premi.
Due settimane fa il cinema francese è stato scosso da un autentico terremoto istituzionale. In seguito alla pubblicazione di un documento su Le Monde, nel quale più di quattrocento registi, attori ed esponenti del cinema d’oltralpe, tra cui nomi di rilievo, hanno lanciato accuse al vetriolo contro l’Académie, accusandola di “gestione opaca ed elitista” e di scarsa presenza di donne. Risultato: la dimissione in blocco dei vertici dell’istituzione.
Francia: dimessi in blocco i vertici dell’Accademia dei premi César
L’evento traumatico aveva fatto seguito alle durissime critiche giunte da più parti per le dodici nomination assegnate al film di Roman Polanski, “J’accuse”, (da noi nelle sale con il titolo “L’ufficiale e la spia”). Polanski è da tempo immemorabile sotto il tiro delle associazioni femministe, e l’onda lunga del processo Weinstein, la rinomanza assunta dal movimento #MeToo e le nuove accuse di violenza sessuale che gli sono piovute addosso dalla fotografa Valentine Monnier hanno arroventato ancor oltre un clima già surriscaldato.
Com’era prevedibile, l’esterno della Salle Pleyel a Parigi, dove si è tenuta la cerimonia di premiazione, era assediato da un centinaio di manifestanti che hanno cercato di boicottare la cerimonia. Dentro, l’aria era altrettanto pesante. Polanski ha saggiamente scelto di non essere presente, e con lui tutto il cast e la produzione del suo splendido film. La presentatrice Florence Foresti ha cercato in ogni modo di sdrammatizzare la situazione, aiutata dai numerosi ospiti saliti sul palco, ma un inopinato silenzio ha spesso accolto le frequenti battute. Così, in un’atmosfera innaturale per una cerimonia di tal sorta, si è consumato il rito della consegna dei premi.
Ebbene sì, malgrado gli strali, malgrado l’ammonimento lanciato dal ministro della Cultura francese che aveva definito un “simbolo negativo” l’eventualità di un premio a Polanski, questi si è aggiudicato il César quale Miglior regista.
Francamente non poteva che essere così, se si pone il discorso sul lato meramente artistico. “Je accuse” è un film sontuoso, classico sin dalla prima, straordinaria scena, ed è probabile che avrebbe vinto di più senza il ciclone mediatico che ha travolto il suo autore. Ha comunque incassato anche il premio per i costumi (Pascaline Chavanne) e per il Miglior adattamento, andato allo stesso Polanski e a Robert Harris, che è anche l’autore dello splendido romanzo da cui il film è tratto, da noi edito da Mondadori. Chi lo ha letto non può che condividere questo premio: perfetta la consonanza d’intenti e di atmosfere tra le due opere, frutto d’un lavoro comune che Harris e Polanski portano avanti da anni.
Com’era prevedibile, la sala ha accolto l’assegnazione del premio con grida e fischi. Gli occhi dei presenti si sono volti verso Adele Haenel, l’attrice protagonista di «Portrait de la jeune fille en feu» (a cui è andato il César per la Miglior fotografia, assegnato a Claire Mathon), divenuta simbolo del #MeToo francese, che ha abbandonato la sala indignata e visibilmente alterata, subito seguita da Celine Sciamma, la regista del film.
Ma poiché the show must go on, la cerimonia è continuata, con l’imperterrita Foresti a dispensare premi. E così la giuria ha decretato il trionfo per “Les Miserables”, il film di Ladj Ly sulle banlieue di Francia, che si è aggiudicato il premio quale Miglior film, Miglior promessa maschile (Alexis Manenti), Miglior montaggio (Flora Volpelière), e il César del pubblico. Sul palco, il giovane regista Ladj Ly non si è lasciato sfuggire l’occasione per una stoccata alla piaga sociale del sovranismo: “Il vero nemico non è l’altro, ma la miseria”.
Miglior attore protagonista è stato decretato Roschdy Zem per il film “Roubaix, une lumiere”, diretto da Arnaud Desplechin; Migliore attrice protagonista è Anaïs Demoustier per “Alice et le Maire”, regia di Nicolas Pariser.
La sempre splendida Fanny Ardant è la vincitrice del César alla Miglior attrice non protagonista per il notevole “La belle époque”, di Nicolas Bedos, che si è aggiudicato anche i premi alla Migliore scenografia (Stéphane Rozenbaum) e alla Migliore sceneggiatura originale (lo stesso Nicolas Bedos), mentre il Miglior attore non protagonista è Swann Arlaud, per la sua performance in “Grâce à Dieu”, di François Ozon.
Il trionfatore degli Oscar, “Parasite” di Bong Joon-ho ha lasciato anche in Francia il segno, incassando il premio al Miglior film straniero, mentre il Miglior film d’animazione è “J’ai perdu mon corps”, di Jérémy Clapin, che ha vinto anche il premio alla Migliore musica. Il César per la Migliore opera prima è andato a “Papicha”, di Mounia Meddour, quello per il Miglior documentario a “M”, di Yolande Zauberman.
Adesso, aspettiamo Berlino.
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