S sta per Stanley

A sedici anni dalla morte di Kubrick, Alex Infascelli realizza un docu-film destinato a fare luce sugli aspetti più personali del regista

S sta per Stanley
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18 Ottobre 2015 - 17.14


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di Ivo Mej

Che Stanley Kubrick fosse un genio, sono in pochi a dubitarne. Che potesse essere anche molto umano non ci avrebbero scommesso in molti.
A sedici anni dalla morte del regista che ha reinventato il cinema moderno, il regista Alex Infascelli (Almost Blue, Il siero della vanità) realizza un docu-film destinato a fare luce sugli aspetti più personali e anche teneri del maestro americano di nascita ma britannico d’adozione.
S is for Stanley è un viaggio nella memoria di Emilio d’Alessandro, l’uomo che dedicò quasi trent’anni della propria vita al servizio di Kubick. Nella memoria, ma anche nella via lattea di carte che questo singolare rapporto ha lasciato dietro di sé: appunti, biglietti, lettere, ordini veri e propri, suggerimenti dati e richiesti, oggetti trasportati, oggetti dimenticati… Tutto a cominciare dal celeberrimo, enorme fallo di porcellana di Arancia Meccanica. Con quel tempo da cani, a Londra, non si trovava nessuno che se la sentisse di trasportarlo da un capo all’altro della città, fino al quartier generale di Stanley Kubrick. Nessuno, tranne un giovanotto italiano, emigrato nel ’60 da Cassino e possibile promessa della Formula 3: Emilio d’Alessandro.

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Kubrick – da genio qual era – intuisce le potenzialità di quel ragazzo italiano e da allora diventerà la sua ombra e il suo Mister Wolf per ogni possibile problema. Un tubo perde? C’è Emilio. Guidare un gigantesco camion della Mercedes? C’è Emilio. Accompagnare Jack Nicholson a fare shopping? C’è Emilio. Assicurarsi che cani e gatti di casa mangino separati? C’è sempre Emilio.
Una vita così tanto assorbita da un’altra persona, anche se si chiama Kubrick, non può che essere problematica per la moglie di Emilio, la costante, paziente Jeannette. Scenate a non finire, soprattutto quando Stanley chiama in continuazione a casa d’Alessando. Finirà per istallare una propria linea telefonica a lui dedicata nella casa del suo factotum. Alla fine, anche Jeannette si deve arrendere a questo strano rapporto di interdipendenza.

“Stanley era appassionato di auto e aveva una collezione di Volvo. Poi aveva delle Mercedes, un giorno arrivò anche una Porsche, ma lui non sapeva assolutamente guidare!” Il candore del racconto di Emilio è disarmante e strappa più di qualche risata. Come quando rievoca l’inizio della lavorazione di Shining: “Perché, invece di Jack Nicholson non hai preso Charles Bronson?” – rimprovera a Kubrick. Oppure, quando si fa interprete con Fellini per una domanda tecnica di Stanley sull’uso delle musiche. “Non ho mai capito né cosa aveva chiesto Stanley, né cosa aveva risposto Fellini. Erano tutti numeri!” Ancora: “un giorno Stanley mi chiese qual era il suo film che mi era piaciuto di più. Io glielo dissi: Spartacus! Ci rimase male.”

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Simpatia e umanità a parte, il documentario scorre che è una bellezza, malgrado Infascelli e i suoi sceneggiatori, Vincenzo Scuccimarra e Filippo Ulivieri non abbiano potuto utilizzare neanche un fotogramma dei film di Kubrick. Ma l’archivio personale di Emilio è sterminato e la fantasia dei tre anche. Foto, scritti e perfino suoni dell’epoca rendono perfettamente l’idea; non ti accorgi neanche che i film non ci sono. Un equilibrio e una attenzione alla scelta dei dettagli che molto rivelano dell’amore che lo stesso Infascelli ha sempre nutrito per Stanley.
Proprio a Filippo Ulivieri invece si può dire che vada fatto risalire il merito di avere portato alla luce la storia di questa strana coppia. Massimo esperto di Kubrick in Italia e curatore dell’Archivio Kubrick, convinse Emilio d’Alessandro a scrivere le sue memorie, pubblicate tre anni fa nel libro ‘Stanley Kubrick e me’, libro dal quale è stato tratto il bel documentario di Infascelli.

Un film che potrebbe/dovrebbe andare nelle sale perché, come dice il regista “in fondo è una storia d’amore, con le regole di una storia d’amore: c’è l’incontro, la vita insieme, la crisi, l’abbandono e il ritorno”. Un film costato pochissimo, 80 mila euro, prodotto da due piccole società con lo sguardo lungo e l’amore per il cinema, Kinethica e Lock&Valentine.
S is for Stanley è un gioiello che sarebbe piaciuto anche a quel grande rompiscatole, genio e manipolatore che era Stanley Kubrick.

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