The Elevator: parla il regista Massimo Coglitore

Massimo Coglitore è il regista italiano del thriller " The Elevator". Il film sta riscuotendo tanto successo in Germania, mentre in Italia non è ancora uscito.

The Elevator: parla il regista Massimo Coglitore
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25 Febbraio 2015 - 14.03


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di Desirè Sara Serventi

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Il regista italiano Massimo Coglitore in Germania sta riscuotendo dalla critica ottime recensioni, per il thriller psicologico The Elevator, prodotto da Riccardo Neri. Girato in lingua inglese e per questo indirizzato al mercato internazionale. Un film dai contenuti forti, originale, ricco in colpi di scena e suspense. Il thriller ambientato a New York, è stato realizzato negli studi di Cinecittà. Il regista si può reputare soddisfatto del suo esordio cinematografico, visto gli apprezzamenti che giungono dall’estero. Il film nonostante il riscontro positivo in terra straniera, non è uscito nelle sale italiane. A parlarne è lo stesso regista.

Inizi la tua carriera artistica girando cortometraggi amatoriali, che ricordo hai di quel periodo?
Sembra un’altra vita, un altro Massimo, ma ricordo con tenerezza quel ragazzino appassionato di cinema che girava i primi corti con il fratello, i cugini e gli amici. Mio padre già allora aveva un proiettore e una cinepresa Super 8 e mi portava sempre al cinema. Grazie a lui, ho iniziato a respirare un’aria cinematografica che sicuramente ha alimentato qualcosa dentro me.

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Il tuo talento cinematografico è subito evidente quando giri i cortometraggi Uomo di carta e Deadline, vincitore di 64 premi tra festival nazionali e internazionali, vuoi raccontare come è nata l’idea di questo corto?
“Uomo di carta” è stato il mio primo corto in pellicola 35 mm, girato con l’ausilio di una vera troupe e per me, è stato un sogno che si realizzava. In seguito, ho girato “Deadline”, prodotto con Anna Mazzaglia, un film dove ho sviluppato un’idea ed uno stile ben preciso sul tipo di genere cinematografico che amo fare.

Giri il film tv per Rai fiction Noi due, come è stata l’esperienza televisiva?
Nel 2006, avvenne qualcosa di insolito e sorprendente, Agostino Saccà, direttore di Rai Fiction ai tempi, vide “Deadline” e ne restò colpito positivamente. Decise di investire su di me, facendomi esordire con un film per la tv dal titolo “Noi Due”, una love story che ebbe un discreto successo. Peccato non ci sia più stata possibilità di lavorare in nuovi progetti Rai, malgrado mi fossi proposto più volte.

La svolta decisiva per te arriva con il film The Elevator, un thriller dai contenuti forti e con una grande dose di suspense. Per te questo film ha rappresentato il tuo debutto cinematografico ti puoi considerare soddisfatto del risultato, visto che in Germania hai avuto un enorme successo?
Il mio produttore Riccardo Neri mi fece leggere “The Elevator”, scritto da Riccardo Irrera e Mauro Graiani. Mi sono appassionato allo script e insieme abbiamo iniziato questa magica avventura. L’80% del film si svolge dentro un ascensore, con due soli attori, e non potevo sbagliare nulla. Dovevo mantenere sempre alta la tensione, senza mai forzare troppo, e dedicarmi con grande attenzione alla veridicità dei personaggi, alla messa in scena e alla gestione dello spazio. Sono orgoglioso del lavoro che abbiamo fatto e dei risultati che il film sta avendo in Germania, dopo l’ottimo esordio al Festival di Taormina. “Archstone Distribution”, che cura le vendite internazionali del film, lo sta vendendo in diverse nazioni e adesso aspettiamo le prossime uscite su questi territori.

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Quale la recensione che hai maggiormente apprezzato?
Un po’ tutte, perché vengono colti e sottolineati diversi aspetti del film e questo fa piacere. Alcuni hanno accostato il mio lavoro, col dovuto rispetto, a Brian De Palma e Alfred Hitchcock, registi che amo, e questo mi gratifica moltissimo.

Il film stavolta è destinato a un pubblico internazionale, con un cast d’eccezione. Come mai la scelta di girare in lingua inglese?
La storia è ambientata a New York, con personaggi e situazioni tipiche del luogo, quindi era inevitabile girarlo in Inglese. Inoltre, la lingua aiuta molto il percorso di un film per la distribuzione estera, soprattutto, se realizzi un film di genere.

Come è stato lavorare con degli attori internazionali?
Mi hanno colpito molto prima di tutto come persone, disponibili e generose. Sono grandi professionisti che si sono messi al servizio del film e della storia. Ho cercato di stargli sempre vicino, cercando di far quadrare tutto, creando le situazioni ideali per lavorare al massimo e loro sono stati fantastici.

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Cosa ne pensi del fatto che all’estero hai riscosso un enorme successo, mentre in Italia il film non è ancora uscito?
Penso che in Italia si fanno molti film, mentre nel resto del mondo si fa molto cinema. In Italia, tranne pochi registi affermati o di fama internazionale, tutti gli altri, fuori dal coro, fanno fatica a vedere in sala i propri film. All’estero c’è più attenzione e viene premiata la qualità. “The Elevator” è stato visionato e valutato da 15 distributori italiani, e tutti, pur riconoscendo il valore del film, ci hanno quasi sempre congedato con la frase: “Non rientra nelle nostre linee editoriali”. E’ un mistero senza risposta, perché pellicole della tipologia di “The Elevator” vengono comprate all’estero e circuitati in Italia proprio da questi distributori. I film italiani che trovano più facilmente una distribuzione in sala, sono soprattutto le commedie o presunte tali. Molti parlano di cambio di marcia, di puntare sul cinema di genere, ma nessuno ha il coraggio e la voglia di farlo davvero. Dovremmo tornare a investire in un cinema a respiro internazionale, come un tempo, basti ricordare Sergio Leone.

Vuoi parlare del film The Straight Path?
E’ un progetto a cui tengo molto e di cui sono autore del soggetto, mentre la sceneggiatura è di Mauro Graiani e Riccardo Irrera. E’ la storia di un forte dramma familiare con risvolti da thriller psicologico. Il protagonista dovrà affrontare varie sfide tra il passato ed il presente e alla fine dovrà fare una scelta molto coraggiosa. Sarà girato in inglese, con un cast internazionale e sarà ambientato nel nord Europa.

Hai una predilezione verso il drammatico, come mai?
Non ho una chiara risposta, sono sensibile a certe tematiche, a certi livelli emozionali celati, al confine tra il reale e il non reale. Sento la necessità di toccare alcune ferite dell’animo umano, esplorarle e metterle in scena. Per fare questo ho usato la struttura del thriller, ma non sarà sempre così. Infatti, sto scrivendo il soggetto di “Ulisse”, un film di fantascienza, che racconta i misteri e le trappole della mente umana più che quelli dell’universo e dello spazio. Dopo, vorrei tornare nella mia Sicilia per raccontare una storia degli anni 50 che ho in mente da tempo.

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Se ti dovessi definire con un’unica parola, quale sarebbe?
Generoso.

Un tuo pregio?
Una grande pazienza.

Un difetto?
Sono sincero, diretto, e spesso questo è un difetto, in un mondo dove ipocrisia e codardia abbondano.

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Come sei quando ti trovi lontano dalle luci dei riflettori?
Sono una persona normale che prova a vivere con serenità interiore ed onestà intellettuale. Questo lavoro assorbe molte energie, non si finisce mai di studiare e imparare. Il cervello va da se e lavora anche quando non dovrebbe. E’ difficile per me non pensare.
Quanto è difficile emergere in questo mestiere?
E’ un settore chiuso e intrappolato da meccanismi di clientelismo e nepotismo che non dà spazio alle idee e al talento. Non è facile emergere con le proprie forze e col proprio talento in un paese come l’Italia che è allergico alla “meritocrazia”. Dal canto mio, non aspiro all’omologazione o al successo facile, voglio raccontare storie estreme, atipiche, con il mio linguaggio. Credo alla forza delle storie e delle immagini. Sul mio cammino ho incontrato Riccardo Neri, un produttore giovane ma stile vecchio cinema, quello bello di una volta, che con la Lupin Film, la sua società, ha prodotto in maniera del tutto indipendente “The Elevator”.

Attuali progetti?
Abbiamo finito la scrittura di “The Straight Path” che metteremo presto in produzione con la Lupin Film di Neri.

Vuoi dare un consiglio a chi vuole intraprendere questo mestiere?
Bisogna porsi tante domande, andare a fondo, comprendere se raccontare storie è una necessità vitale, oltre che una passione. Vedere tantissimi film, leggere, andare a teatro, studiare la tecnica cinematografica e la psicologia, avere tanta pazienza, curiosità e umiltà, scrivere una storia di cui si sente il bisogno di raccontarla e farne un corto. Oggi i mezzi digitali a disposizione facilitano i giovani videomaker. E se siete davvero bravi, imparate l’inglese e andate all’estero.

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Il cinema italiano può vantare tra i suoi registi Massimo Coglitore, cui lavori sono apprezzati all’estero sia per l’originalità, sia perché altamente qualificati. Oltre alla evidente professionalità e preparazione artistica, è emerso in Coglitore caratteristiche di umiltà, cordialità e disponibilità.

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